In principio fu Twitter.
Un breve messaggio. Poche essenziali parole che franarono attraverso i display di tutto il mondo, come petali in balia del vento burbero d'aprile.
Poi le prime agenzie. Gli stati su Facebook che iniziavano a cambiare, le trasmissioni interrotte alla tv, i forum, i blog, i siti dei giornali.
La notizia sanguinava da ogni bocca, talmente dolorosa da bloccarsi negli interstizi dietro l'ugola, forzando il vomito, costringendo a deglutire i respiri. Viaggiava.
Percorreva i solchi delle lacrime sui visi, risaliva i fiumi di vene gonfie, logore. Si affidava alle correnti delle urla, dei pianti, delle imprecazioni.
A volte si bloccava un istante. Adagiandosi nel morbido riparo in un dubbio, consolatoria illusione.
Poi giù. A ricordarsi che, in fondo, non era una notizia sola ma addirittura due.
Crudeltà gemelle, anelli cigolanti di una soffocante catena che nessuno aveva la forza di reggere.
Dio era morto.
Poche sillabe a contenere quell'insostenibile immensità. Dio era esistito.
E in quegli istanti orrendamente dilatati, non si riuscì davvero a percepire cosa risultasse più tragico in quella rivelazione. Se fosse più disturbante l'esile consapevolezza di un'occasione mancata, o l'amara certezza di una perdita irrecuperabile.
Ci fu un momento. Il battito d'ali di una farfalla, un fremito impercettibile in cui l'intero pianeta si zittì.
Chi piangeva sussultò in quell'istante preciso, chi urlava prese fiato, chi sorrideva si morse le labbra, tutti all'unisono.
Fu l'ultimo attimo di lucidità.
Lo scalino su cui inciampò la follia collettiva.
E ci fu chi disse che non avrebbe mai voluto sapere.
Dio è morto, avevamo ragione.
Dio c'era, avevamo ragione.
Non era il vostro, non il tuo, noi, noi avevamo ragione.
Finché la ragione si perse...nuovamente.
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