29.9.14

Area 5!1!!!!1


In molti credono che gli alieni esistano davvero, e visti i tanti ufo fotografati e ripresi ultimamente il dubbio potrebbe venire anche ai più scettici. Ma questi misteriosi visitatori sono buoni o cattivi? E cosa ci fanno qui, cosa cercano?

In realtà molti dei documenti che testimoniano i presunti avvistamenti sono dei palesi falsi.
Esiste però una raccolta decisamente cospicua di materiali a cui nemmeno gli scienziati sono riusciti a dare una spiegazione. Insomma, ci sono foto e video la cui visione riesce a far vacillare anche i più convinti.

Esistono per esempio delle riprese straordinarie che documentano, in maniera inequivocabile, che in passato è avvenuto l'incontro tra esseri di altri pianeti e personaggi chiave della storia.


Sembra incredibile, lo so, eppure è tutto documentato.
La signora Elide era solo una bambina quando scattò la foto che ora vedremo. Giocava con lo zio e a un certo punto decise di scattargli una foto in primo piano.
Lui rideva e in quel momento idilliaco di vita familiare nessuno si accorse che proprio alle loro spalle stava avvenendo un evento straordinario: un mezzo sconosciuto solcava il cielo dietro di loro.
Solo quando la foto fu sviluppata notarono quello strano particolare, pensarono a una macchia o a un uccello, e invece no: era un oggetto volante non identificato, un'astronave di chiara matrice aliena, una forma stranissima con quelle due protuberanze laterali, forse telecamere o forse addirittura armi?

Giudicate voi stessi.


E non è un episodio singolo.
Velivoli simili sono stati avvistati in più riprese nei luoghi più disparati del pianeta.
Persone che non si conoscono che in epoche diverse hanno visto lo stesso oggetto.

 Potrà mai essere un caso?

C'è chi pensa che gli alieni siano da sempre in mezzo a noi.
Antichi graffiti, risalenti a epoche estremamente lontane, sembrano rappresentare curiosi personaggi dalle fattezze indescrivibili.



Arriva invece da un bi-assolato pomeriggio di pochi giorni fa, questa favolosa e inquietante fotografia.
Dice la signora Adelaide: "stavo fotografando mio marito che faceva il bagno quando con la coda dell'occhio ho notato un movimento sulla riva. È stato rapidissimo ma sono sicura di aver visto quest'essere con due zampe e il collo quasi inesistente. Aveva una specie di tuta liscia di un colore pallido e in testa una specie di nido o un casco con dei filamenti per comunicare, non so. Ho sperato di essere riuscita a fotografarlo, e infatti è lì nell'angolo a destra. Per fortuna, avevo il timore che mi scambiassero per pazza..."


È proprio un alieno. Incredibilmente simile a quello del video trafugato da due studenti in un armadietto della facoltà di scienze naturali di Spellor, il famoso video dell'autopsia aliena che tanto ha fatto discutere gli scienziati. È un falso? Un'abile ricostruzione effettuata proprio dai due studenti? Oppure è davvero un essere sconosciuto recuperato dalla schianto della sua astronave?
L'unica cosa che possiamo dire è che la somiglianza con l'essere nella foto della signora Adelaide è davvero straordinaria.
Una concidenza? Noi pensiamo di no.


27.9.14

#erabelloOrfani


[Scrivo di Orfani anche se non dovrei, perché siamo a Milano, città della Sergio Bonelli Editore, culla del fumetto italiano, e qui non è ancora uscito l'ultimo Dylan Dog!]


Ho letto Orfani.
L'ho letto man mano che usciva in edicola e infatti ne ho anche parlato (Bildungsroman und Drang , Anticipo fratture, L'amore è cecchino, Shakespeare in war).

Poi l'ho riletto. Prima tutto il passato e poi tutto il presente.
Ma non mi convinceva.
Allora ho resettato. Ne ho letti due del passato e uno del futuro, e secondo me funziona già meglio.

Mi sarebbe piaciuto poi provare qualche combinazione strana, magari prima il finale e poi tutto il resto come flashback e flashback del flashback, oppure prima tutto il presente e poi tutto il passato.

Poi ho pensato a chi cazzo me lo faceva fare. Cioè, l'hanno scritto così e me lo leggo così. Altrimenti è come guardarsi Memento al contrario.

L'impressione comunque è che la divisione netta sia stata un po' penalizzante, non tanto la presentazione nello stesso albo di due piani temporali differenti, ma proprio l'intento di dare a entrambi lo stesso peso in ogni storia.

Ecco, dovrei a mettermi a parlare di Orfani ma c'è gente molto più brava e competente di me che l'ha fatto. C'è un'ottima recensione di Matteo Stefanelli qui, tocca con competenza aspetti artistici, stilistici, di mercato, insomma, analizza a 360 gradi la costruzione del fenomeno Orfani.
Poi ci sono delle discussioni davvero interessanti sui forum, tipo qui (ci sono anche tante di quelle stronzate da indurvi una specie di trance autolesionista, un riflesso incondizionato che improvvisamente vi suggerisce di cospargervi di benzina e saltar giù dal posto più alto a cui avete accesso mentre vi accendete una sigaretta. E nemmeno fumate. Quindi state attenti.)

In realtà, al di là di poche cose che ho disseminato qua e là, un giudizio preciso su questa prima stagione io non è che so darmelo davvero.
Orfani non era di sicuro una serie che avevo necessità di leggere, cioè, non ne sentivo la mancanza, non ho colmato un qualche vuoto interiore, non è stato il fumetto giusto al momento giusto.
Ma d'altronde nemmeno certi libri di Borges, nemmeno Magico Vento, nemmeno la pizza con le melanzane glassate che ho mangiato prima. Eppure sono cose che ho inevitabilmente adorato.

Allora, tanto per chiarire ogni dubbio, Orfani merita di essere letta. E non solo per il suo essere qualcosa di epocale per quel che riguarda il fumetto italiano, con quell'aria un po' spocchiosa da spartiacque che si è ritagliata addosso, coi colori veri e non quelle robe piatte che sembrano fatte riempiendo i numerini come i libri per bambini, con una storia che scivola giù inesorabile come un tronco lungo un torrente, impetuosa, violenta, travolgendo quel che incontra, nel sangue, nel dolore, nella crudeltà del rumore tragico delle cose che si spezzano.
Merita di essere letta perché ha qualcosa da dire. Perché ha una strada tracciata che ti invita a seguire, la percorre indefessamente nonostante le deviazioni che essa stesso si propone, come a voler periodicamente testare la propria forza di volontà, la propria costanza nel seguire ciò che ci si era prefissati.

Adesso dico qual è secondo me la cosa che non funziona in Orfani. E la dico ben conscio che in certi contesti avrei additato la stessa caratteristica come un pregio, come il plus che mi ha fatto innamorare di quel determinato racconto.
Ecco, secondo me la storia è troppo esposta a essere soggetta a più livelli di lettura. 

E quando dico più non mi limito a quelli che forse l'autore ha pensato di inserire in scrittura, no, io intendo proprio che è un racconto che nel suo dipanarsi può essere introiettato da qualunque lettore e fatto in qualche modo proprio. Le variabili che portano a questo sono differenti e tendenzialmente si potrebbero riassumere nell'affermazione che è una storia figlia di questo tempo, dell'abbattimento delle barriere scrittore\lettore, dello stupro digitale dei gradi di separazione.
Il fatto è che nella sua serialità la trama è talmente liquida ed equivocabile che inconsciamente si vorrebbe che procedesse nel modo in cui ci aspettiamo, scardinando quindi quel processo di fiducia che si dovrebbe stabilire nel lasciarsi condurre per mano attraverso ciò che chi scrive vuole raccontare.

Ripeto, è una caratteristica che di per sé non è un difetto. Non per tutte le storie almeno.
Eppure l'impressione, la mia eh sia ben chiaro, è che in questo contesto sarebbe servito un qualcosa di più rude, asciutto, una cosa tipo: ecco, questa è la storia leggetela, non avrete spazio per fantasticarci, non c'è un margine di sindacabilità, quel che leggerete è ciò che c'è e finità lì.

(lo so che che non vuol dire un cazzo eh, mica li conosco i meccanismi per cui quando leggi pensi a una cosa o a un'altra, per cui una frase è sempre ciò che è oppure ci costringe a ragionare a quel che avrebbe voluto dire l'autore)

Ecco, a me sarebbe piaciuto che Orfani si fosse fatta leggere senza l'eco del pensiero di cosa intendeva rappresentare l'autore in questo o in quel determinato contesto. E mi rendo conto che la colpa è soprattutto mia, mi capita anche in altre situazioni, con Murakami mi succede sempre per dire, o con Eco spesso.
Solo che, mentre per esempio di quel che avesse intesta Murakami mentre scriveva quel che sto leggendo non riesco a non interessarmi, a me di quel che pensava Recchioni quando scriveva Orfani non me ne frega un cazzo (ma nemmeno di Eco eh, tanto per livellare la cosa), vorrei leggere solamente la storia, magari in modo piatto, rapito da un "banale" intrattenimento. Eppure per un motivo o per l'altro non mi è riuscito di riuscirci.

Quindi così, se ti travolge questo meccanismo è ovvio che la cosa non può funzionare fino in fondo.
Perché si parla di loro

Che si sfidano a pagina 20 del primo numero, accettano le regole del duello, si mettono di schiena e camminano fino all'ultimo albo, dove li vediamo ancora lì, a reggersi lo sguardo, a odiare ciò che è l'altro, ad amare ciò che rappresenta.
E nel mezzo, a ogni passo, la storia di tutte quelle distruzioni. Della Terra, dell'innocenza, dei rapporti umani, degli amori, delle amicizie, della fiducia, dell'illusione, della dignità. Tutto inevitabilmente destinato alla deflagrazione, a una lenta o rapida corrosione.

Parlerebbe di questo, eppure per me, per tutto quel che ho detto prima, è la storia di Jimbo.
Umano e debole fin dal primo numero, eppure ligio a ciò che è, figlio di quel mondo senza speranza.
Lui che c'è, che sopravvive senza iniezioni potenziatrici.
Per fortuna forse, oppure per ricordarci che spostando gli occhi dal centro del quadro rischiamo sempre di meravigliarci di certi particolari così unici nella loro semplicità.
Jimbo è nell'economia della storia utile come i tozzi di pane dipinti sul desco del Cenacolo: la rende vera.






Dunque, se vi capita di voler leggere Orfani fatelo. Ne vale la pena. E leggeteci ciò che volete.
E se vi capita pensate Jimbo, spendete un attimo per lui, per la sua mediocrità se volete, e pensate a ciò che ha visto, ai mostri alieni che gli infestavano la testa, al sangue, ai compagni morti senza trovarci un senso, ai dubbi che non poteva o voleva esporre, alla paura di morire, di essere morto ormai, allo sguardo verso gli orfani, quelli speciali non gli altri come lui, a come ci si sente quando devi esserci comunque, quando il tuo lavoro è l'essere sacrificabile.

Ecco, #erabelloOrfani.


23.9.14

Dialoghi sul fatto che la vita sia la causa principale della morte e viceversa


X: Guarda che c'è gente che è morta per questa cosa!
Y: Sì, ma sarebbe morta lo stesso. 
X: Beh, fino a prova contraria...
Y: Non c'è una prova contraria dell'essere morta, al limite potrebbe esserci una prova contraria del poter vivere in eterno.
X: Nel senso che finché uno non muore dobbiamo considerarlo potenzialmente immortale?
Y: Nel senso che se uno è morto non deve preoccuparsi di poter improvvisamente vivere...
X: E gli zombi?
Y: Gli zombi non si preoccupano a prescindere.
X: Sì, ma sono vivi o morti? Cioè, quando gli spari in testa li uccidi oppure sono già morti e allora è un terzo stato, un'ultramorte, un decesso 2.0?
Y: Chissà se gli zombi hanno un dio a parte con un paradiso a parte...
X: Boh, ma per essere un buono zombi devi mangiare la gente o non devi mangiarla?
Y: Secondo me se sei zombi sei già risorto, quindi vuol dire che sei buono a prescindere...
X: Vabbé, ma se non mangi?
Y: Se non mangi bisogna anche sforzarsi a volte, come i vecchi che si dimenticano. I vecchi vanno  tutti in paradiso, per sfinimento.
X: Ma che c'entra il mangiare? Guarda che in Africa ci sono bambini innocenti che muoiono di fame!
Y: Dimmene due!
X: In che senso?
Y: Nel senso che siete sempre a rompere i maroni con 'sti fantomatici bambini africani che muoiono di fame. Chi sono? Li conosci? Dimmene due...
X: Ma che c'entra, è un discorso in generale.
Y: Un cazzo, o mi dici i nomi o non vale. Che poi, muoiono di fame. Muoiono perché l'unico modo che abbiamo trovato per avere internet e gli hamburger e le code per l'iPhone e la tv in streaming è stato quello di farli morire di fame.
X:Vabbé, e le foibe?
Y: Le foibe che?
X: No niente, era per dire...
Y: Non scherzarci tanto, guarda che c'è gente che è morta per questa cosa!
X: Sì, ma sarebbe morta lo stesso...

[ad libitum...]

18.9.14

La memoria del pesce rotto


Sul telefono ho un'app che uso per appuntarmi le cose di cui mi piacerebbe scrivere.
Mi vengono in mente mentre cammino di solito, sulle strisce pedonali, percorrendo il bordo di un marciapiede, schivando le fughe del lastricato di qualche piazzale (ho la deroga per il pavè...)
Poi capita che rimangano lì, che non si concretizzino in nulla, pensieri orfani, vicoli ciechi, coiti interrotti dell'immaginazione.

Solo che, e non saprei fare diversamente, non è che mi appunto la descrizione di quel che vorrei scrivere, no, ci metto solo il titolo che vorrei dare al post.
Per esempio, l'altro giorno mi è passato per la testa un discorso abbastanza articolato su quel falso mito delle radici cristiane dell'Europa. C'entravano i greci, gli arabi, le traduzioni e le stelle della bandiera europea.
Mi sono segnato "Radici quadrate". Ne ero abbastanza fiero quando l'ho scritto, non so se chiamarla crittografia mnemonica ma forse quasi lo è, il giochino di parole tra la funzione matematica e la quadratura logica delle origini, simpatico.
Poi non ho scritto niente, e anzi quando ho riletto il titolo ieri mi son detto: ma che cazzo avrò voluto dire? davvero volevo mettermi a parlare di matematica? io? io che 2 + 2 fa sempre: parliamone?

La verità è che mi dimentico le cose.
Mi dimentico di bere, come i vecchi, di pensare, di riempire i vuoti che ho, di essere forse, mi dimentico di scrivere. Ogni tanto mi sovviene che dovrei farlo ma poi mi scordo, rimane lì nel limbo dell'inesistente, nel è troppo tardi o troppo presto, nell'altro, nel dopo.

Il punto è che non è mai troppo abbastanza. Non più.
E mi dimentico.

Fa ridere. Perché da quando esiste 'sto posto l'ho sempre usato come una cartina tornasole, un glucometro con cui misurare i miei livelli di me stesso.
Vengo qui e in base a ciò che scrivo so come sto. Mai il contrario.

Fa ridere il come evitando la diagnosi sparisca anche la malattia.

Credo sia come dimenticarsi. Mi dimentico (con la stessa accezione di ti dimentico ma col mi), e non lo so di preciso perché, forse mi sono rotto il cazzo, o forse sono rotto e basta.

E niente, volevo dire una roba ma non me la ricordo.

12.9.14

Orsa madonna


Ormai lo si è capito, viviamo in un periodo storico in cui l'unico piacere che potremmo davvero concederci è quello di farci restituire dalla vita i nostri gradi di separazione.

Sarò sincero, trovo ancora entusiasmante avere la possibilità di leggere l'opinione di un salumiere cinquantenne di Pizzo Calabro sull'utilizzo del piretro per debellare la cicalina, e forse sarà la mia componente voyeuristica ma mi interessa scovare cosa ne pensa una giovane mamma di Brunico su quale siano le modalità di ingaggio migliori in un eventuale scontro con una nave pirata in acque internazionali. Sarò romantico io, ma per me, cresciuto negli anni ottanta, quando ci si apriva al mondo in modo quasi esclusivamente passivo, quando la possibilità di rapportarsi con una visione differente rischiava di limitarsi a certe corrispondenze con qualche amico di penna e con gli scherzi telefonici fatti componendo numeri a caso sul disco del telefono, beh, io 'sta cosa di avere un filo diretto che mi permetta di ascoltare l'universo-mondo in tempo reale continua darmi questa sensazione di essere fortunato.

Generalmente però, a questo sentimento di positività (che non mi si addice proprio, lo ammetto) si affianca la percezione di essere a pochi passi dall'Apocalisse.

E no, non parlo di questo.

Cioè, ora che ci penso potrei anche parlarne. Uccidere un animale, che tu stesso hai portato lì per tirarti le seghe sulla montagna incontaminata e il giardino dell'eden, dimostra che sei stato stupido. È come sparare a King Kong. Per quel che può interessarmi, dato che non era il MIO orso, potrei anche dire che se proprio l'intenzione era quella di terminare Daniza (le hanno dato un nome, ingenui. Lo sanno tutti che non bisogna dare nomi a qualcosa che poi potresti dover uccidere. Perché non diamo un nome alle zanzare che ci girano per casa? Io non ho mai sentito di una zanzara con un nome. Io se avessi una zanzara tutta mia la chiamerei con un nome ironico, che so, Dialisi, o Dracula o - a voler essere un po' esotici - Avis. Anzi no, la chiamo Pompina), dicevo, se proprio l'intenzione fosse stata veramente quella di ucciderla, beh, dovevano giocarsela in modo differente per aggirare l'internet.

Che so, e se avessero sparato all'orsa per proteggere un gattino carinissimo? Negli algoritmi del web morte di gattino puccioso > morte di orsa che protegge i suoi cuccioli?
L'orsa Daniza è stata per fortuna fermata mentre stava dando in pasto ai suoi cuccioli famelici Svampo, un bastardino cieco da un occhio che era stato abbandonato in una segheria dove aveva perso una zampa e gettato in una campana del vetro dal suo padrone bastardo che non lo voleva più.
Svampo > Daniza.
Purtroppo l'orsa Daniza è morta mentre stava aggredendo un profugo siriano del prospicente centro di accoglienza che probabilmente stava gettando nel cassonetto pacchi di monoporzione di cibo mai aperte che l'orsa voleva evidentemente dare ai propri cuccioli affamati, l'urside è stato abbattuto dagli altri profughi, tutt'altro che stremati dal viaggio di due settimane in gommone parrebbe, tramite una sassaiola ripetuta di monete da 2 euro e schede telefoniche, per un totale stimato di 45 euro a profugo.
Povera Daniza, se 'sti negri se ne stessero a uccidere gli orsi a casa loro.
Orso feroce > negri.



E sia chiaro, lungi da me voler in qualche modo offendere chi ha una sensibilità animalista più spiccata della mia. Tanto ormai lo so che ci misuriamo solo su noi stessi, come quando siamo in autostrada e tutti quelli che vanno più forte di noi sono dei pazzi, quelli che vanno più lenti di noi sono degli inetti. (e quelli che vanno alla nostra stessa velocità sono dei rompicoglioni...)

Io in realtà volevo parlare delle liste.
Quelle robe che adesso tutti si nominano e devono fare l'elenco dei cazzi loro.
Credo c'entri l'entropia, o una cosa del genere. Forse il karma. Di sicuro l'inerzia.
Però vabbé, ormai ho parlato d'altro.

Avrei voluto fare l'elenco delle cinque liste che più trovo idiote.
Ma ormai ho parlato d'altro.

Ecco la lista dei 5 orsi che preferisco:
5- Misha
4- Genma Saotome
3- Gli orsetti del cuore tutti
2- Ted
1- i famosi orsi che invasero la Sicilia



9.9.14

Capita che nella vita succedano davvero cose terribili, io per esempio ho vissuto.

Cosa si prova a non essere mai esistito?
Probabilmente nulla, probabilmente è come quando ti si addormenta una gamba solo che in quel caso ti si addormenta la sensazione di essere.
E non puoi nemmeno tentare di camminarci su, non riusciresti nemmeno a pensare di camminarci su, perché se non esisti o ti si addormenta il senso di esistenza non hai percezione di cosa significa essere.
È come quando sei sordo e non sai effettivamente di esserlo, perché non esiste proprio in te l'idea di suono, e magari ti viene da dividere il mondo in gente che parla (con le mani, dico) e gente analfabeta che invece muove le labbra a caso per compensare la propria incapacità di comunicare.

L'unica differenza è che se sei sordo di esistenza non ti viene nemmeno l'idea di suddividere il mondo in qualcosa, perché il mondo non c'è.

Quindi, e un po' lo dico con cognizione di causa, non credo che Oscar Wilde abbia azzeccato sempre tutti gli aforismi che declamava. Insomma, magari gli è servito un periodo di rodaggio all'inizio, forse qualche strafalcione gli è capitato, una giornata in cui non era proprio in palla, una frase buttata lì che proprio non si capiva cosa volesse dire, credo sia successo.Cioè, è statistica.
Avrà detto magari "Il contrario di fede è ragione, il contrario di ragione è fede" oppure "Meglio una bionda che fa una sega furiosa a un boscaiolo, che un boscaiolo furioso che sega una bionda" o ancora "Non ho mai creduto negli animali, ma preferisco i dinosauri alle persone noiose", insomma, era per dire che non sempre le cose ci vengono perfette, cioè, magari tendiamo a ricordare gli apici di negatività o positività ma ci conviene ricordarci che nel mezzo c'è un un mondo che è mediocre solo per il fatto di porsi centralmente rispetto a qualche estremo.

Io non vorrei essere un dinosauro che non è mai esistito, ci penso spesso, pittuosto mi accontendo di qualcosa di un po' più piccolo ma che abbia gli occhi per guardare il mondo.





1.9.14

DAI, DAI, DAI... LAN!


Leggo Dylan Dog dal primo numero quindi è mio.
È mio è non me ne frega un cazzo, per quel che mi riguarda l'unico e vero Dylan è quello con la camicia azzurrina delle copertine iniziali del mitico Claudio Villa. E anch'io ogni giorno per andare in ufficio mi metto una camicia azzurrina, perché è questo che è il Dylan originale, è così che dovrebbe essere sempre.

In realtà io nell'86 avevo dieci anni e leggevo il Più. L'unico indagatore che conoscevo era l'ispettore Bobop e Slurp era il solo mostro che avevo finora incrociato fumettisticamente, ma ecco, in questo periodo di cambiamenti dire "io lo leggo dal primo numero" pare essere il mantra che ripetuto tipo mille volte dà diritto ad essere sceneggiatore per un giorno, anzi, ti investe del titolo di gran custode del personaggio originale.

Seguivo proprio in questi giorni tutte le polemiche veteroanimaliste a seguito dell'Ice Bucket di Dylan Dog (se volete, donate!).

Perché gli animali sono tutti carini e coccolosi, e le lumache sono immuni all'arsenico, e non serve a nulla testare i cosmetici sui coniglietti che sono già bellissimi così, e Dylan non ucciderebbe mai un animale nemmeno se fosse per salvare la propria vita perché il nostro Dylan è duro e puro, vegetariano e animalista e noi lo sappiamo e voi non potete impossessarvi del NOSTRO personaggio per fargli fare la pubblicità agli scienziati che curano le persone vivisezionando gli animali (che sono carini)

Già.
Sì beh, a parte i ratti naturalmente.


È che ovviamente tendiamo a ricordare solo ciò che ci fa comodo e contribuisce alle nostre tesi.

Dylan Dog sta cambiando, e i cambiamenti minano la tranquillità che ci avvolge all'interno della nostra routine. Ci tocca ripensare, rielaborare, spostare il punto di osservazione per capire, pensare di nuovo, mettere in discussione, ridiscutere meccanismi rodati della nostra lettura. Insomma, è un fastidio.

Se poi ci aggiungiamo che siamo nei tempi di facebook, l'era in cui esprimere un'opinione è diventato un dovere più che un diritto, dove non condivido le tue idee ma farò di tutto per trollarti sui social, beh, mi pare ovvio che qualunque (qualunque) argomento troverà il suo valido e rumoroso oppositore, gran cavaliere della tastiera, paladino degli haters e dell'analfabetismo funzionale (vedi post della scorsa settimana).

Va da sé che c'è pure chi ha rotto il cazzo per questa

Come se non fosse mai successo, tra l'altro.




No vabbé, quest'ultima non vale.




Però, grazie alle mie amicizie altolocate, ho la possibilità di mostrarvi in anteprima la copertina del numero 339.


E anche quella del 340 ispirata a quella del Giovane Holden.


Comunque, Dylan Dog sta cambiando. Finalmente.
Se ne uscirà da quel limbo atemporale da clessidra di pietra e ritornerà nel presente.
Magari non mi piacerà, magari il telefono che parla, Bloch in pensione, John Doe Ghost, la spider al posto del maggiolone (no, questa l'ho inventata io, ma era il soggetto che avrei voluto scrivere per il 339, perché Dylan è anche mio è bisognerebbe considerarci di più noi lettori).


Magari sarà riscoprire qualcosa, invece, quella necessità di essere stupiti che da ragazzini è così facile soddisfare, magari sarà come rivedersi dopo tanto tempo, ricominciare dall'attimo in cui ci si era lasciati.

(Fatto sta che settimana scorsa ho traslocato qui a Milano i Dylan Dog e sono sei borse dell'Auchan.)

Vabbé, di cose da dire ce ne sarebbero, ma se proprio dovessi chiudere con qualcosa che sia ben augurale per questa nuova avventura, beh, c'è questo fatto che mi è successo la scorsa settimana in una nota fumetteria milanese. Me ne stavo lì a sfogliare non so cosa, quando a un tratto una voce dietro di me si rivolge al commesso e gli fa: "ma ce l'avete qualche numero vecchio di Dailan Dog?".
Dailan. Quand'è stata l'ultima volta che l'ho sentito? Nel '92 forse... Anzi, non sentivo più dire Dailan dal '92.(cit.)
A me è sembrata una cosa bellissima, insomma, mi ha ridato un po' di speranza nell'umanità. Poca eh, solo per un attimo. Che poi c'è stato quello che ha chiesto se la serie d'ora in poi sarà sempre ambientata in un futuro fantascientifico...

(E comunque Recchioni, da quando mi ha fatto conoscere Halt and cacth fire può fare il cazzo che vuole...)