29.2.12



Io dico solo all'autorevole quotidiano La Repubblica che se una generazione ha avuto dei traumi infantili a seguito della struggente visione di un film, non mi sembra proprio il caso di rivangare e riproporre tali scene in modo subliminale per innescare chissà quale reazione emotiva o addirittura, ma spero di no, per compiere non so che brutale esperimento sulle nostre menti deboli e già ripetutamente plagiate.




P.s. Il cavallo di Atreyu si chiamava Artax.

Almanacco del giorno stesso


Pereppeppeereperepeppeppereperepeppere perepeppeeee...

Oggi è il 29 febbraio.
Ringraziate il fatto che siamo in un anno divisibile per 4 e non centuriato, ringraziate anche i Romani che contavano i giorni alla rovescia e dovendo aggiungere un altro sexto die ante Kalendas Martias, hanno ben pensato di chiamarlo bis sexto. 
Ringraziate poi 'sta cosa che il calendario solare non è proprio preciso preciso e si perde 5,8128 ore all'anno.

Un giorno ogni quattro anni appunto.
Che a voler essere precisi avanziamo 11 minuti e 24 secondi che ci recuperiamo saltando qualche bisestile qua e là a inizio secolo.

Con quei 26 secondi che comunque sovrabbondano, che faccio signora lascio?, diciamo che tra qualche migliaio di anni ci confezioniamo un'altra bella giornata da abolire. Facciamo intorno al 4905.
E il governo tecnico non si è ancora pronunciato su questa cosa, nessuno si muove, e nel silenzio generale tra tremila anni ci rigireremo tra le mani un giorno e non sapremo neanche se è festivo o lavorativo.

Comunque, oggi il sole sorge. Non importa l'ora. Quando arriva arriva insomma, che neanche voleva sorgere oggi e si era già messo d'accordo con Saturno, senti sorgi te che chi vuoi che se ne accorga, mi timbri il cartellino e io mi faccio la spesa, passo a prendere i fotoni al nido e chi s'è visto s'è visto, che sono miliardi di anni che faccio 'sto cazzo di lavoro e c'è ancora gente che viene a dirmi che non è vero, che la bibbia, e fermati e muoviti e non saranno neanche 6000 anni. Ecco, queste son le soddisfazioni.

Sul tramonto non ci pronunciamo, che avete capito com'è la situazione qui.

Il santo del giorno è S.Altuario. Martire incerto dalle altalenanti vicissitudini.
Protettore dei sensi unici alternati e patrono dei parenti che vengono a farti visita ogni quattro anni.
Il giovane frate catalano Altuario si rinchiuse nella propria cella per un digiuno perpetuo come voto alla Madonna, si concedeva solo una birra media fermentata direttamente nel cappuccio impermeabilizzato del proprio saio e ogni quattro anni chiedeva che gli fossero portati dei salatini.
Interruppe il digiuno dopo 26 anni, le parole che pronunciò quando uscì furono:"Ecco, adesso forse l'avrete capito che la zuppa del refettorio fa da cagare!".





Il 29 febbraio del 1756 l'agricoltore statunitense Geoffrey McDrew scopri che soffiando con forza all'interno di una carpa appena pescata, a cui aveva sigillato le branchie con del miele, si poteva ottenere una calotta impermeabile che indossata sulla testa permetteva di immergersi in acqua senza bagnarsi i capelli. McDrew, già ultraottantenne all'epoca, morì qualche anno dopo mentre cercava di gonfiare un cavedano. Viene ricordato come l'inventore della cuffia da bagno.

Il Sole permane in Pesci, Chirone si fa vedere e agita la zampina per ricordare a tutti i nostri pesciolini che è arrivato il momento di osare. Luna in trigono è l'ideale per le transazioni finanziarie, se siete ladri non fatevi sgamare, se siete sgamati non fatevi ladrare.
Non ridete troppo amici dei pesci, rischiate di strapparvi le guance.
Non fatevi accalappiare all'amo di falsi amici, e ricordatevi di non tirare troppo la lenza. 
Nelle relazioni amorose siete pesci fuor d'acqua, fare l'occhio di triglia non serve, piuttosto date un colpo di coda alle situazioni in alto mare e andate a fondo evitando di boccheggiare annaspando dalla padella alla brace.
In amore si sa vince chi frigge.


Pereppeppeereperepeppeppereperepeppere perepeppeeee...

27.2.12

Lunedì film


Già.
Come ci si sente a essere ingannati per l'ultima volta?
Tutta la vita avevano detto, tutta la vita che ti scorre davanti agli occhi come un film.

Magari così rapida da non capirci un cazzo (ma in fondo la trama la conosci già), con la colonna sonora stridula, fatta di voci accelerate e buffe, i movimenti appena intuibili.
Un fottuto Koyaanisqatsi di tutto ciò che neanche ti sei accorto di aver vissuto.

Com'è che diceva? "Fin qui tutto bene"...
Ecco, non c'è un cazzo che vada bene fin qui, perché io mi sono buttato con una megaconfezione di pocorn, convinto di sedermi nel fottuto multisala dell'esistenza e mi ritrovo a guardare un cazzo di trailer sullo schermo del telefonino.

Vedrai, vedrai che bello, dicevano. Tutta la vita davanti agli occhi, come un film. Meglio di un film.
E se c'hai gli occhialini te lo guardi in 3D, in HD. Registrato in DVD se credi alla reincarnazione.
Tutta la vita.

Vaffanculo!
Qui non c'è nessuno cazzo di schermo, solo il riflesso ridicolo della mia faccia spettinata che si specchia sui vetri di questo grattacielo indolente, la pelle che si accartoccia in modo strambo mentre il vento della caduta la percuote, l'asfalto lanciato dalla fionda impietosa della gravità.

E stava mirando proprio me.

Garrisce addirittura il mio viso muto, come le bandiere tenute fuori dai finestrini delle macchine in corsa durante i caroselli. 
Ma qui non c'è un cazzo da festeggiare, menotremenoduemenouno e quel marciapiede sarà il ritratto dipinto del mio passato.
E non ho visto il mio maledetto cazzo di film.

Ho pagato il biglietto.
L'ho pagato in anni, sofferenze, impotenze, irrealizzazioni. L'ho strappato dalla matrice lercia del tempo, lo stesso rumore del sacco che si chiuderà sopra i miei occhi vacui. Tra un po'.

Forse.
Forse, ché qui niente sta andando come dovrebbe. E la mia vita che scorre davanti agli occhi non l'ho vista.
Fin qui tutto vaffanculo.
Fin qui tutto vaffanculo...

Non so neanche se ora ho chiuso gli occhi per il vento o se è la strada che si è fatta nera.
Non si distinguono più neanche i colori da questa distanza.
Ed è notte.

Si è fatta notte e neanche me ne sono accorto. Cadevo.
E aspettavo il mio film che non vedrò. Eppure dicevano. Dicevano sì, tutta la vita ti passa davanti agli occhi quando muori.

Se fossi ottimista penserei che è solo perché non sono ancora morto davvero, ma non è così, è solo l'ultimo imbroglio.

Umiliati.
Ecco come ci si sente a essere ingannati per l'ultima volta. Non traditi o arrabbiati o delusi. Umiliati.

E volevo solo il mio film.



C'è il profumo del caffè d'orzo zuccherato che sfrigola nel cuore fibroso del pan biscotto bianco, uno squittio di cucchiaini che fugge lungo le scale che affronto incerto. Scendo ogni scalino con due passi pesanti di talloni, ho gambe corte da bambino di un anno e mezzo.
Il quadro sul muro di fronte alla porta, 'quello lì più grande sei tu' mi diceva mia nonna, lo guardo mentre mi aggrappo al corrimano. 
La gonna del vestito a fiori invade le narici di sapone di marsiglia, ma il suo sorriso sa di colazione.
La casa odora d'inverno e di zolfo sfregato delle capocchie dei fiammiferi.


E' iniziato penso.
Ma è solo un imbroglio.

Nero.


Tenetevi pure i popcorn.

26.2.12


biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii...

22.2.12

Chiuso per furie


Niente, l'immaginazione vacilla, il tempo scarseggia, la voglia s'infratta.
Che qui se non scrivo qualcosa io non c'è mica nessun altro che lo fa, ché questo mica è uno di quei blog d'informazione che ti pubblicano le cose fatte da altri e ti avvertono che è uscito l'ultimo film di quel regista uzbeko girato completamente al contrario ma coi sottotitoli in esperanto dritti però a partire dal fondo, oppure che hanno scoperto una rana color indaco che se la metti nella coca-cola diventa un rettile e inizia a perdere le zampe ma poi le ricrescono.

No, qui di informazioni utili non se ne trovano. Le scrivo io le cose, lo saprò, no?

Comunque adesso vedo, che sono un po' incasinato e i pensieri si stanno accumulando in altro e sono distratto. 'spetta però. Io sono sempre distratto. Se non fossi distratto non avrei mai l'impudenza di tralasciare i sani pensieri della quotidianità per perdermi in certe cazzate che poi mi chiedo ma c'è perfino gente che oltre a leggerle sente anche di doverci aggiungere qualcosa sì adesso c'è ce lo metto un segno di interpunzione no non ce lo metto e continuo che tanto qui è roba mia e faccio il cazzo che mi pare Molly Bloom santa subito punto.

E pensate che dovrei anche presentare tre soggetti per delle storielline brevi e non ho uno straccio di idea. Allora dico, beh, sulle note del telefono mi scrivo sempre un casino di pensieri, suggestioni, appunti: ci sarà qualcosa di utilizzabile.

Guardo e trovo in ordine:
- Spaghetti con le mongole
- Tamagotchi vivi
- Uomini che oliano le donne

Invece di pensare subito vabbè, sono deficiente mi ci metto addirittura a ragionarci su.
Beh, la storia di un italiano che va in bicicletta da Lambrate a Ulan Bator e lì viene accolto in un villaggio di sole donne e cucina per loro una carbonara, oppure un horror fantascientifico in cui si scopre che tutti i tamagotchi buttati negli anni novanta sono sopravvissuti e hanno formato un'enorme intelligenza comune collegandosi in modo sinaptico e ora stanno per conquistare il mondo e soggiogando gli esseri umani costringendoli a vivere in mini appartamenti e a nutrirsi solo quando lo decide il Grande Pterodattilo, per non parlare poi della romantica avventura di due massaggiatori di campionesse di body-building che si conoscono durante Miss Olimpia e scoprono di amarsi mentre stanno oliando i tricipiti di una muscolosa atleta.

Ecco, vabbè sono deficiente.

20.2.12

Ereticenze


Non sono un amante delle ricorrenze.
Quantomeno non quando non sono funzionali a qualcosa. Dare un significato alla memoria la rafforza, ne alimenta i significati, ne irrobustisce il cammino.
E di mio gli anniversari tendo ad anticiparli o a ritardarli, così, per evitare la trappola del meccanico, dell'abitudinario, del consueto.

Se poi si parla di persone morte 400 anni fa, la spinta a dire qualcosa diventa ancor più flebile.

Comunque il 17 di febbraio era l'anniversario della morte di Giordano Bruno.

Viandante della ragione, girovago della razionalità, paladino della scienza.
In realtà di lui non è che mi interessi molto, né come filosofo/scienziato né tantomeno come simbolo.

C'è però un qualcosa nel suo percorso che mi ha sempre inquietato.
E' che io penso quel che penso, generalmente per i cazzi miei. Se interrogato rispondo e se ne vale la pena dibatto anche. Polemico sì, ma con incuranza.

E nonostante da sempre stiano tentando di inculcarmi 'sta cosa: non rispetto le idee.
Nemmeno le mie sia ben chiaro, che un'idea non è un fine ma un mezzo. E una macchina sporca ti porta negli stessi luoghi di una tirata a lucido.

Ecco, in questa promiscuità di pensieri mi spaventa non poco quando un ragionamento non è sopraffatto da un altro ragionamento ma da un'azione.
Ché nel mio mondo ideale ognuno dovrebbe avere il diritto/dovere di pensare a tutto ciò per cui io possa trovarmi in disaccordo.

Avete presente quella frase che Voltaire non ha mai detto?
Sì, l'avete presente.
Bene, in questo mio mondo nessuno dà la vita per difendere la libertà di esprimersi di nessuno.
Perché in questo mio mondo la necessità di avere un'idea differente è il vero peccato originale, il marchio con cui si nasce e che non c'è bisogno di espiare.

E' che boh, tra poeti da decapitare, segregazioni in autobus, e altre varie amenità a uno viene anche da pensare di avere avuto culo a vivere dove vive.

La verità è che la verità non c'è.
Magari, se ci si rendesse conto seriamente di questo, un po' più di tranquillità dialettica riusciremmo anche a conquistarla.

E invece ogni differenza è eresia.

Eresia. Deriva dal greco αἵρεσις, haìresis derivato a sua volta dal verbo αἱρέω (hairèō, "afferrare", "prendere" ma anche "scegliere" o "eleggere").
Ecco, scegliere.

Non deviare, pervertire, bestemmiare. Scegliere.

Comunque queste sono alcune delle accuse che furono mosse nel processo veneziano, poi inoltrate al tribunale di Roma.
Bruno fu giudicato per aver detto:

1. Che Cristo peccò mortalmente quando fece l'orazione nell'orto recusando la volontà del Padre mentre disse: Pater, si possibile est, transeat a me calix iste.
2. Che Cristo non fu posto in croce, ma fu impiccato sopra dui legni a modo d'una crozzola, che allora si usava, e chiamavasi forca.
3. Che Cristo è un cane becco fottuto can: diceva che chi governava questo mondo era un traditore, perché non lo sapeva governar bene, ed alzando la mano faceva le fiche al cielo.
4. Non ci è Inferno, e nissuno è dannato di pena eterna, ma che con tempo ognuno si salva, allegando il Profeta: Nunquid in aeternum Deus irascetur?
5. Che si trovano più mondi, che tutte le stelle sono mondi, ed il credere che sia solo questo mondo è grandissima ignoranza.
6. Che, morti i corpi, l'anime vanno trasmigrando d'un mondo nell'altro, dei più mondi, e d'un corpo nell'altro.
7. Che Mosè fu mago astutissimo e, per essere nell'arte magica peritissimo, facilmente vinse i maghi di Faraone; e ch'egli finse aver parlato con Dio nel monte Sinai, e che la legge da lui data al popolo Ebreo era da esso imaginata e finta.
8. Che tutti i Profeti sono stati uomini astuti, finti e bugiardi, e che perciò hanno fatto mal fine, cioè sono stati per giustizia condannati a vituperata morte, come hanno meritato.
9. Che il raccomandarsi ai Santi è cosa redicolosa e da non farsi.
10. Che Cain fu uomo da bene, e che meritamente uccise Abel suo fratello, perché era un tristo e carnefice d'animali.
11. Che, se sarà forzato tornar frate di S. Domenico, vuol mandar in aria il monasterio dove si troverà e, ciò fatto, subito vuol tornare in Alemagna o in Inghilterra tra eretici per più comodamente vivere a suo modo ed ivi piantare le sue nuove ed infinite eresie. Delle quali eresie intendo produrre per testimoni Francesco Ieroniminiani, Silvio canonico di Chiozza, e fra Serafino dell'Acqua Sparta.
12. Quel c'ha fatto il breviario, ovvero ordinato, è un brutto cane, becco fottuto, svergognato, e ch'il breviario è come un leuto scordato, e ch'in esso molte cose profane e fuori di proposito si contengono, e che però non è degno d'esser letto da uomini da bene, ma dovrebbe essere abbrugiato.
13. Che quello che crede la Chiesa, niente si può provare.

17.2.12

Sesso, bugie e apicoltura



L'avevamo detto che un'altra puntata sarebbe saltata fuori (parlo al plurale come il mago Otelma ormai). E infatti eccola qui.
Però adesso basta, che con tutte 'ste parafilie mi sento in soggezione, che a me già limonare sembra una perversione. (non è vero, faccio il modesto... ah, il mio numero è 349 3....).

Comunque eccoci qui, l'ultimo viaggio tra le caleidoscopiche fantasie dell'essere umano.
Io tutta questa diversità la adoro, la trovo consolante, ipnotica a volte.

Ecco, finisce così, questa favola breve se ne va (seee ne vaaaaaa...).

[AVVERTENZE PER I MINORI: VOI NON ESISTETE, NON SIETE MAI STATI QUI, NON AVETE MAI LETTO NIENTE!]


Macrofilia

















Attrazione erotica per scenari di fantasia con protagonisti – in genere femminili – di dimensioni colossali, o dove è il soggetto a immaginarsi rimpicciolito.
Che tu avevi in mente solo la Gigantessa di Baudelaire, e dicevi: beh, che sarà mai? Sarà una roba buttata lì così, teorica, che mica c'è gente che si nutre davvero di queste fantasie fino a farne una mania. (in realtà pensavi: vabbé, la smetto di voler capire la natura umana e accetto tutto!).
Cioè, tanto per intenderci: qui e qui.

Che poi son tutte donne, e ci mancherebbe. Che per maneggiare una colonna di carne larga come il tunnel della manica serve la patente da gruista.

Sitofilia










Vabbè, è la solita cosa del sesso con il cibo, che adesso partono le fazioni e si fa e non si fa e si mischia e non si mischia. E il miele sì, ma il wasabi no, ma la carota solo olio o olio e aceto e tu ci metti lo zucchero nel caffè?
Quindi, evitiamo le solite storielle da pronto soccorso con improbabili verdure disperse in improbabili pertugi, che capisco l'elasticità, ma le melanzane tonde quelle no, che c'hanno un retrogusto amaro.

Ecco, se proprio devo dare un consiglio mi sento di dirvi due cose:
- evitate di farlo con Gordon Ramsay, che sarebbe un'infinita rottura di cazzo a sentirsi dire che gli spaghetti sono troppo cotti e la panna no non si monta così e queste fragole fanno da cagare che non è stagione
- evitate il flambè e la crema catalana, che la fiamma ossidrica a contatto con la pelle rimane sconveniente anche in questi tempi così moderni e mentalmente aperti

Melissofilia













Ecco, ora finalmente ci addentriamo nei discorsi seri.
Qui si parla di feticisti delle punture delle api. Che quei pezzenti degli apicoltori, che se ne vanno negli alveari tutti bardati e con il casco di Darth Vader, sono solo degli stronzi che non sanno godersi i piaceri della vita.
Comunque un senso riusciamo a darlo anche a 'sta cosa, che il veleno delle api è un vasodilatatore e l'istamina che contiene è addirittura un neurotrasmettitore.

E tra l'altro quella cosa che Einstein non ha mai detto, sulle api che se scomparissero scomparirebbe anche l'uomo, ecco, adesso assume un suo significato.

Antolagnia


















Ve la ricordate quella cosa dell'ape e del fiore?
Ecco, archiviata la faccenda api, qui invece è l'odore dei fiori che la fa da padrone.
Sarà lo stimolo della primavera, sarà il ritorno alla natura, ma c'è chi ha bisogno di un profumo floreale per eccitarsi. E no, spruzzarsi con lo spray del bagno ai millefiori non funziona.

Florovivaisti di tutto il mondo unitevi, che a noi Grenouille non ci spaventa e farlo sul pout-purri sarà anche scomodo, ma vuoi mettere?

(ah, comunque se chiamate l'ape "pene" e il fiore "vagina" tutto vi si chiarirà immediatamente)

Ligerastia













E infine siamo arrivati.
C'è chi ha bisogno del buio. Vaglielo a spiegare che anche l'occhio vuole la sua parte.
Che poi basta un po' di allenamento e alla fine certe situazioni possono anche far comodo come giustificazione. "Oh, scusami cara, non mi ero proprio accorto che te stavo entrando dalla porta sul retro...", Ah, scusami cara, nel buio completo non mi ero proprio accorto che non eri tu ma il giardiniere. Chissà da dove è entrato?"

Niente, a me serviva solo per dire che adesso chiudiamo il sipario. Non credo che ci saranno altre puntate, almeno che non salti fuori qualcosa di veramente eclatante.

Spegnete la luce!

Ah, le altre puntate sono qui, qui e qui.

16.2.12

Facecook: l'angolo cottura del mercoledì (di giovedì grasso) 14


Arriva sempre un momento nella vita di una persona in cui si sente il bisogno di ritornare sulle proprie scelte, abbracciare percorsi differenti, rivedere alcune prese di posizione fortemente difese.

Ecco,se oggi fosse quel giorno la cena di stasera sarebbe totalmente vegetariana.

Ma dato che non lo è, oggi si torna alle origini e si riscoprono i sapori dell'infanzia.
non così infanzia...
Qui siamo in Veneto si sa, e se escludiamo polenta e risi e bisi, quando parliamo di sapori dell'infanzia, quelli delle belle tradizioni di una volta, quei gusti che ti ritornano sul palato come madeleine di proustica proustiana memoria, ecco, non può che venire alla mente
Vabbè, ho detto Proust non Freud!

Tagliamo corto che ho fretta e sarò breve: stasera fegato alla veneziana.

Allora, prendiamo un paio di cipolle dolci, non grandissime, e le affettiamo longitudinalmente stando attenti a non sminuzzarle troppo che non dobbiamo usarle per il soffritto.
Le facciamo appassire a fuoco lento (no, non è un soffritto) con abbondante olio d'oliva e una noce di burro.Sale e pepe q.b.

Quando proprio la cipolla non ne può più aggiungiamo due cucchiai di aceto di vino.
Zitti zitti ci aggiungiamo anche il fegato tagliato a listarelle. Alziamo la fiamma.

Lo lasciamo lì al massimo 5 minuti e poi via, subito in tavola che il fegato va mangiato caldo che se lo riscaldi diventa duro.

Lo so, è un imbroglio una ricetta del genere.

Avrei voluto parlare dell'annosa disputa sull'origine del nome 'fegato', e perché no, anche del mito di Prometeo, e magari delle capacita rigenerative di quest'organo, e che dire della pericolosità dell'eccesso di vitamina A, e perché si dice 'avere fegato', e davvero non c'è nessuna parola italiana che fa rima con fegato, e magari mettere in sottofondo fegato spappolato di Vasco.

Ecco, niente di tutto ciò, che sono giorni boh...
Cioè, scusate, sono Prometeo. Mi avete fatto legare, incatenare, sfegatare, ho anche rubato quel cazzo di fuoco che mi sono scottato mica c'è nessuno con del Foille? e adesso venite a dirmi che non si fa niente e non si parla di me? Vabbè, capisco la crisi greca e il default e cazzi e mazzi, ma Cristo Zeus, un po' di rispetto insomma, che si è qui per lavorare... D'accordo, niente.                 Aquila di merda!


Ah, con questa apprensione per Sanremo, il porno in internet ehm, con questa apprensione mi ero scordato i pareri dei nostri ospiti.

Davvero Belen era senza mutande?

Meehehe!
Niente, bricole davanti a San Marco. Tanto per infilarci dentro qualche stereotipo.







Aquila di merda!

15.2.12

Parole, parole, parole: Apotropaico


Apotropaico. Dice che viene dal greco. Come se ci fossero davvero ancora cosa buone che possono arrivare dalla Grecia.
Dice anche che viene solitamente attribuito a un oggetto o persona atti a scongiurare, allontanare o annullare influssi maligni.

Io ripenso a certi pomeriggi di luglio, indemoniati a inseguire le traiettorie ineluttabili di un Super Tele.
Arrancare sfiniti fino a sfumare in sagome rossastre, poi nere, poi solo in rumori, grida, gol!
Quell'ultima azione, l'ultima rete affogata nel viscoso mare dell'imbrunire, quello era l'apotropaico.

In quell'attimo, l'istante immediatamente successivo alle urla di mia madre che mi chiamava per cena, ecco, nel tempo calibrato tra quel rumore indistinto (mescolato alle voci della strada, alle macchine, alle tv) e il tonfo sordo di quella paccottiglia plasticosa, subito soverchiato da uno strillato entusiasmo, io in quel momento sentivo che non avrebbe potuto esserci niente a minacciarmi, nessun influsso maligno, nessun male. Apotropaico.

E chi me lo dice adesso che mi sbagliavo? Che era solo un inganno, un'illusione soffocata dall'incombere della notte, che sarebbe bastato un anno, forse un mese, perché la vita spalancasse i cancelli a quelle amarezze acquattate che avevano solo finto di voltarmi le spalle.
Apotropaico, come se un attimo potesse davvero esserlo, e in realtà lo è stato, con sincronicità disarmante ho ripescato quella sensazione dall'abisso della memoria, e lo è stato.

Ora no.
Ora c'è altro forse, un gesto, un gusto, una consistenza, un avvicinarsi.   Apotropaico. Allontanare.

Mi avvicino.



13.2.12

Post Coitum di Makkox - ovvero prima della prona


Con colpevole ritardo e incolpevole entusiasmo, arrivo finalmente a parlare di Makkox.

Non che in questi mesi si sia sorvolato sul genio dell'autore formiense, anzi, in più e più occasioni c'è stato modo di parlarne, di scriverne qui e anche qui, di seguirne le conferenze a Lucca, a Treviso, di leggerne le vignette sul Post, sul Male, su Raitre, di seguire le vicissitudini del Canemucco, di facebook e twitter.

Insomma, se Makkox non fosse veramente bravo avrebbe anche un po' rotto i coglioni, ché è dappertutto.

Post Coitum potrebbe essere una raccolta di vignette.
Una di quelle robe alla Forattini, con la pubblicità su Italia Uno e il titolo tipo Andreacula o Karaoketto.

Potrebbe esserlo, ma non lo è. Mai.
Fa fatica addirittura a essere un libro, con quelle sue misure scomode, le pagine pesanti, dense, il formato da pirofila in pirex, il peso da lasagne al forno in una pirofila pirex, e il gusto, il gusto da lasagne al forno nella pirofila in pirex in una domenica che ti aspettavi i soliti tortellini in brodo.

E' che la carta è solo un trucco, uno sviamento della percezione, una fruizione insolita per la rappresentazione teatrale di una tragedia solita. Perché di questo stiamo parlando: palco, attori, sipario, quinte, intermezzi, suggeritori, voce narrante... E' il teatro, bellezza!

E così andrebbe giudicata quest'opera.

Dapprima la storia.
La madre di tutte le tragedie. Satire di un tardo impero, dice il sottotitolo. Tardo. Dateglielo voi il significato che tanto di noi si sta parlando.
Non è la caduta degli dei, non il crollo del muro, non il potere assassinato, no. Si parla di crepe. A volte invisibili, altre volte tragicamente slabbrate. Crepe che si insinuano nel cuore farraginoso di uno stato, di uno status. Crepe, che si inseguono nel tristemente comico arrabattarsi di muratori improvvisati, cazzuole dialettiche dall'impugnatura incerta, incrinature che si allargano lasciando cadere l'intonaco dorato con cui ce l'avevano venduto quel muro posticcio.
Un po' Giulio Cesare e un po' La locandiera. E' Goldoni che s'incula Shakespeare, il dramma spettegolato dalle finestre di un palazzone di periferia.
E' la storia di quest'ultimo anno politico, impigliata giorno per giorno tra le maglie delle reti che Makkox tende nella quotidianità dei giornali, delle radio, dei tv.

E' il racconto di un uomo, un uomo di potere. Un uomo che è il potere. Parla di lui per dirci di noi.
Paragona le sue mancanze alle nostre, le sue sfortune alle nostre, le cadute e le ascese, la rabbia privata, il privarsi della rabbia, la svilente presa di coscienza di essere circondati da idioti.
Siamo noi che suoniamo il clacson, che facciamo la fila alle poste, che ci lamentiamo dal salumiere, che ci rendiamo conto del misero ripagamento di tutti i nostri sforzi.

Siamo noi o quel che vorremmo essere, perché, a differenza delle nostre, questa tragedia ha, a modo suo, un proprio lieto fine.

Gronda di lieto fine questa tragedia.

Poi gli attori.
Nel primo atto è Fini che addomestica il pubblico. La recitazione sembra incerta, ma pare quasi una scelta registica, la preparazione dell'attesa, la pacatezza che fa da contraltare all'esuberanza imminente.
E come un'esplosione arriva il protagonista assoluto, lui. Silvio Berlusconi.
Crudelmente goliardico, ineffabilmente atroce, deliziosamente dolce. Un ossimoro compresso nella nudità di un doppiopetto.
E' tutto e fa tutto, corre tra gli spalti, si adombra, suggerisce al suggeritore, improvvisa. Lo spettacolo è lui e quando cede il passo ai comprimari lo fa con una generosità meschina, quasi scegliendo i momenti per trarre comunque vantaggio da certi impallamenti. A volte.
Solo sporadicamente lo vediamo smarrito, ma mai riusciamo a capire davvero quanto sia mestiere e quanto inciampo. E quel copione sembra proprio averlo scritto lui, sembra. Così come sembra che abbia perduto alcune pagine.
E in quegli strappi vive la storia. Nella grottesca sfilata dei leghisti, nella becera e urlante commedia dei dibattisti, nella devitiana devitica comicità degli scilipotisti.
E in Tremonti.
Solo lui sembra possedere la verve necessaria per rubare la scena al primo attore. Le sue scene sono memorabili, occupa il proscenio straripando sulla ribalta, lo fa suo: con ardore, tenerezza, infantile possessività, furore. Occupa ed emoziona.
Quasi a sfidare l'assoluto predominio del Cesare, novello Bruto a illudersi di scoccare la pugnalata mortale.

Eppure Lui rimane lì. Ferito ma non sanguinante. Quasi che la nazione, che a lui si è sottomessa, si sia tramutata nel ritratto di Dorian Gray della sua sofferenza.
Quasi fossimo noi gli Elliot ubriachi a smaltire la sbornia di un alieno teneramente incosciente e temerariamente presuntuoso.

Nella godibilità del tutto stonano forse certe comparsate, storie estranee, lontane, abbozzi non sviluppati, moncherini. I vari Obama, Osama, sono echi di altri drammi, altri teatri. E forse l'unico cruccio è che non ci sia anche lì un Makkox a raccontarli.

Ah, a proposito. E Makkox?
Beh, Makkox guardava. Guardava e disegnava. Con quel suo nonsoché che non stiamo neanche qui a spiegare.
La sua voce narrante è sempre presente, arrichisce ogni scena, la introduce socchiudendo i cassetti della memoria, brevemente, acutamente, dissacrantemente. Mai invasivamente, ché lo spazio è degli attori.

Sipario.

P.s. Se esiste ancora e se volete farvi male, di quel male gratificante che sa di lezione di vita, beh, compratelo.

11.2.12

Nel palese della meraviglia


Mi bastano sempre pochi giorni passati senza scrivere per iniziare a chiedermi se continuerò.
E' che mi pare sempre labile il confine tra cosa sia forzatura.
Continuare o smettere?

Smettere di continuare o continuare a smettere?

In realtà in questi giorni ero assente giustificato: mi stavo meravigliando.

Che tu dici, il mondo è talmente vario che lo stupore è nascosto dietro ogni angolo, anzi si rannicchia sul fondo di ogni link per saltar fuori e farti bù. L'internet è immenso si sa, ed è difficile non trovare qualcosa che alla fine riesca a sbalordirti, incantarti, ammaliarti.

Poi sta a te, al tuo sguardo, decidere se questo qualcosa possa essere un video di gattini che dormono, la foto della figa più figa che tu abbia mai visto, una vignetta che piùdicosìnonsipuòridereggenio, una parola, gli alieni, una storia, un mondo, una pagina bianca.

E lo stesso discorso vale per l'oltre internet, quella landa confusa che qualcuno ancora si ostina a chiamare realtà.

Ché si fa presto a dire che bisogna sempre guardare il mondo con gli occhi di un bambino, anche perché questo altro non significherebbe se non l'essere preda di facili entusiasmi, travolgenti suggestioni, soddisfacenti inganni.
I bambini non hanno malizia, non hanno una storia, una memoria rielaborata, complessa. Vivono di prime volte, e in quell'ardore si aggrappano alle sensazioni a discapito dei significati. Che sarà pure affascinante, ma è facile. Troppo facile per considerarlo appagante.
E' una scorciatoia che ci concediamo quando siamo esageratamente fantasiosi. O quando siamo esageratamente poco fantasiosi.

Stupirsi, meravigliarsi, sorprendersi, quando il vento polveroso della vita ha ormai sferzato il nostro viso e la nostra anima. Ci ha lasciato cicatrici di dubbio, tagli recrudescenti di cinismo, abitudini ingrigite dalla ragione. Ha inspessito la nostra scorza di diffidenza (e questo ci protegge sia ben chiaro).

Ecco, quando l'estasi da ammirazione riesce a coglierci anche così. Beh, sono quei momenti in cui tutto il resto può attendere.

Io è da un paio di giorni che mi muovo avanti e indietro qui.

8.2.12

Facecook: l'angolo cottura del mercoledì 14


"A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra"  Gesù, 30 d.C.

Ecco, se facciamo che tipo arrivano a ripararsi anche gli uccelli di terra avremo tutti gli ingredienti per il pollo alla senape.


Ché, se proprio volessimo prendere le scorciatoie, potremmo farlo con la panna (qualsiasi cosa potremmo farla con la panna). Ma abbiamo almeno tre buoni motivi per non usarla:
1- la pianta di senape diventa grande sì, ma non così tanto da farci riposare sotto un mucca
2- siamo in regime di ristrettezze alimentari, è iniziato nuovamente il calaconlavala, abbiamo dichiarato guerra alle calorie, dobbiamo sottoporci alla prova costume di carnevale
3- avevo in frigo un barattolo di yogurt greco semiscaduto

Dunque, prendiamo dei petti di pollo. Facciamo almeno una terza, che non devono essere quelle fettine fine fine che si confondono col fondo della padella.
Mettiamoli a rosolare con un filo d'olio, pepe, un cucchiaino di miso (o sale quanto basta, o niente e cazzi vostri), pochissima cipolla.
(se avessimo avuto tempo li avremmo messi anche a marinare nel succo di limone).

Al momento della prima girata aggiungiamo anche i gherigli di un paio di noci sgusciate.
Noci normali, cazzo!
 Mentre il pollo si cuoce prepariamo un'emulsione di olio, yogurt greco e senape.
Quando nei libri di cucina vi dicono di fare un'emulsione significa che dovete mettere il tutto in una terrina e mescolare. Niente. Mescolate. Anzi no, armonizzate. Emulsione... mavaff...

Su 200 gr di yogurt diciamo che un paio di cucchiaini di senape possono bastare, però dipende dalla senape, da quanto piccante vi piace, da quanto grandi sono i cucchiaini, dal fatto che abbiate le crocs ai piedi. Dipende, insomma. (no le crocs non c'entrano, era per ridere...).

A cottura quasi ultimata abbassate la fiamma e coprite i petti con lo yog l'emulsione.

Ah, perché il pollo ha attraversato la strada? Perché il granellino di senape l'hanno seminato di là. (in realtà la soluzione sta in senape, il cui anagramma è 'pene sa', cioè sa'l cazzo).

Dopo un po' è pronto.

Come contorno facciamo delle zucchine al forno con ripieno di zucchine.
In effetti si potrebbe chiamare 'matrioska di zucchine'.
Comunque, tagliamo a metà tre zucchine e scaviamone l'interno con uno scavino.
Mettiamole in forno così, intanto. (200 °C)

Tritiamo finemente con la punta del coltello le interiora della zucchina, aggiungiamoci un quarto di cipolla. Amalgamiamo il tutto con 100 gr di ricotta, del curry (un altro po' di curry...), sale, pepe, una spruzzata di pomodoro concentrato, un filo d'olio.

Tiriamo fuori le zucchine dal forno e, con la perizia del muratore, assecondiamo la nostra esigenza di horror vacui farcendone l'interno.
Rimettiamo in forno per una buona mezz'ora.

Non faccio il conto delle calorie, ma sono pochissime.
Non faccio il conto nemmeno di quelli che si sono fermati alla prima riga di questo post. Non lo meritavano.
Non faccio il conto. E' tutto gratis!

La parola al nostro nutrito parterre.

Ah! Ah! Ah! Nutrito... Non l'ho capita.

Meehehe!
...


No qui è Pollock. E' la terza volta che sbagliate numero. Non non è pollo, è Pollock... No, signora! Non è quello dei quadri che non si capisce un cazzo, è più che altro l'espressionismo astratto che si cementifica nel drip painting formando... cazzo vuol dire suo figlio lo fa uguale, aho? Quanti anni è che ha suo figlio? 3? Beh, lo fa, ma mica ci mette l'introspezione filtrata dall'incoscienza relativa della concezione sintetica dei nativi americani... come? Il pollo alla senape? Sì, ok dai. 

Das Auto

Forse i film non bastavano più.

Comunque a leggere la prima di Repubblica stamattina ci si imbatte in questo.
"Uomo ucciso in Mercedes".
Penso, beh il fatto che fosse su quella determinata marca d'auto forse c'entra qualcosa. Magari l'hanno finito usando lo stemma a tre punte come una stellina ninja!

Apro l'articolo e non si fa altro che rimarcare in che macchina fosse.

Con tanto di foto.

Ma serviva?
Ecco, questo potrebbe essere un buono spunto per parlare di product placement e di pubblicità indiretta.

Ma è evidente che ora non ne ho il tempo.

7.2.12

storie

E' che spesso gli accostamenti sul sito de La Repubblica sono illuminanti.

Io guardando i titoli mi sono chiesto se non fosse proprio quella stessa operaia alienata, spinta dal desiderio di toccare con mano quegli aggeggi elettronici che fabbrica, a lottare per diventare una top model e poter così coronare la sua necessità di tecnologia.

E così ho pensato alla sua storia, agli sfruttamenti in fabbrica, al computer finto costruito col cartone nella penombra della sua cameretta. E i compromessi, l'amico suicida, l'invito strappato a un party di gala, gli occhi pieni di luci e display, le conoscenze, i provini, il book, la passerella e finalmente il successo.

Un successo coronato da quel pc comprato con l'emozione sulla punta delle dita tremanti.

E bivi. Il lusso che acceca, che annoia, oppure la mitezza d'animo che non si lascia sopraffare dalla ricchezza. E se decidesse di tornare in fabbrica? abbandonare quei giocattoli e ricominciare il suo lavoro monotono e distaccato.

Bivi.

Vabbè, sempre sia lodata l'homepage di repubblica.

4.2.12

Disegnini



"Cosa pensi?
Che il tempo sia davvero quel medico infallibile di cui parlano le canzoni?
Pensi che si guarisca? No, non esiste cura. Solo altri malanni a sovrapporsi.


Come se la dimenticanza non fosse essa stessa afflizione.


Tu credi che mi siederò lì, a consumare uno dei miei rari sorrisi per dire che è stato meglio così?
Che in fondo ne siamo usciti migliori?
Che alla fine è il percorso che abbiamo fatto quel che conta, la strada, il vissuto. Perché è quello che ci resta, quello che conserveremo come cibo per l'anima nella dispensa delle nostre esperienze.


E l'unico motivo del finire non può che nascondersi nell'iniziare.
E no, io non mi sento migliore.
Non lo sono. E non potrò esserlo. Perché i sintomi e i postumi di questa malattia si fondono in uno sconsolato mai. Perché non c'è un premio nel dolore, così come non c'è redenzione per questo nostro peccato.


Ci siamo bestemmiati addosso noi stessi, e lo chiamavamo conoscerci. Non c'è un dio che potrà perdonarcelo.


Secondo te importa che i cuori vivano la loro sindrome di Stoccolma? prigionieri l'uno dell'altro, vittime e carcerieri nel medesimo istante, confondendo la delusione con l'illusione, fino a ingannare sé stessi nella follia di non ingannare il nostro porci da reciproco specchio.


Non è il dolore. E' il pensiero che possa servire che mi affligge.
Il costringersi al convincimento che sia in qualche modulo utile. Come se già non l'avessimo conosciuto, come se non ci fossimo già tormentati a vicenda le cicatrici del nostro essere stati. 
Qualsiasi cosa.


Non sono migliore, non sono più forte, non sono più me, non più. E m'ingarbuglio con le parole per la foga di preparare quel grido che non sentirai.
Perché il cuore non ha mai ragione, quella è la testa. 

Non ha mai ragione, ed è la mia motivazione per ascoltarlo."

Vabbè, ho ricominciato col corso di fumetto, e c'era un esercizio da fare, e c'era la foto di una stanza, e insomma, non ne avevo voglia.
Quindi rimando.

E rimando.

E quando rimando scrivo cose a caso, come i disegnini che fai mentre sei al telefono.


Ecco, niente. Fate conto che mi stessi chiamando.