29.7.14

Tutto il mondo è paresi

naM-taR

Ho comprato il primo Rat-Man nell'aprile del 1997, pescato a caso tra il porno dell'edicola sotto la caserma, ero a Roma.
Poi è ricapitato. Non l'avevo ben capita la periodicità, ma è ricapitato. Forse era trimestrale.
Mi sono congedato alla fine di quell'anno, con la cartolina rossa in mano e un interrogativo pesante a coprirmi il futuro.Avevo il cuore calmo e un'incoscienza di base che non mi faceva crescere.

Non ci sono passato in edicola quel giorno. E infatti il 4 di Rat-Man non ce l'ho mai avuto.
Non l'ho mai letto, ho anche preso un giorno una qualche raccolta ma non l'ho mai letto.

Dal cinque poi ho ricominciato, lentamente, come quando si riprende a respirare normalmente dopo la pleurite. Sei, sette, dodici, cinquanta, settantasei, novanta, cento. Tutti lì, ben impilati sulla scrivania.
Ce n'è uno con un orecchia che col terremoto l'anno scorso son caduti, un paio sono rovinati da quel mezzo limone che qualcuno ha pensato di mettere per spaventare i gatti, uno forse ha addirittura qualche vignetta colorata, una pagina è mezza staccata di sicuro. Due traslochi, qualche terremoto, un paio di alluvioni, giri in macchina, qualche lancio, i gatti, le chiavi buttate sulla libreria.

Niente, il senso è che sono pieni di vita quei giornaletti consumati.
La mia vita. Consumata.

E lì davanti sono passati amici, ridendo solitamente, e amori inascoltati, alcuni inattesi altri inesatti. Ho rubato baci a qualche risvolto impensabile, altri ne ho dati, ogni giorno con un ciao e un ti amo. Abbiamo sfilato, come su di una giostra, a ripercorrere con indifferenza quell'abitudine di essere, uno dopo l'altro in processione di fronte a quel variegato plotone d'esecuzione.

E sarà stato il tempo, sarà stata la troppa vita che d'improvviso mi ha sorpreso, è che la gente come me si rende conto di aver vissuto solo nel momento in cui sta traslocando.

Come pesci non badiamo all'acqua se non nell'istante in cui inizia a mancarci, viviamo di base, nemmeno per istinto ma per implicita essenza, tendiamo gli archi branchiali senza nemmeno rendercene conto e solo il cambiamento ci dà la giusta misura di quel che siamo, solo l'evolverci, il tramutarsi da pesci ad anfibi, ci pone finalmente di fronte a quel che siamo diventati. A come una pinna caudale si trasformi in un faticoso aratro mentre si striscia a terra, a quanto bruci l'ossigeno dell'aria, a come siamo fatti, quanto peso ci portiamo addosso e non è un male.

Sarà che sono passati diciassette anni da quel giorno di aprile in cui all'edicola di corso Francia ho comprato il primo Rat-Man. E Blue.
Sarà che in diciassette anni ho vissuto, mi sono innamorato, ho conosciuto persone incredibili, mi sono innamorato di nuovo, ho sofferto come non avrei pensato, ho perso, ho perso quasi tutto in certi istanti, e mi sono riempito le tasche di vita, di gente e silenzio, di sguardi e impressioni, illusioni, cicatrici, tormenti, sonni leggeri, attimi. Momenti scanditi da quel giro in edicola ogni due mesi, dall'odore buono della carta ruvida, dal quel nuovo colore a tracciare un altro segno sul muro, come un carcerato, prigioniero inconsapevole di me stesso.

È che ora, al vedere che tutta quella vita se ne sta comoda in una borsa della Coop, che il fremito di ogni attesa si scioglie nel comprimere di quella plastica frusciante, tutta la mia vita in una borsa della Coop.
Beh, a me un po' di tristezza la fa.



Insomma, Ortolani, perché 'sti Rat-Man non li hai fatti più grossi? Bastava che so, fare i disegni col carioca quello a punta grossa, oppure mettere una vignetta per pagina, o ancora lasciare tutti i dialoghi a parte sulle pagine in fondo, magari potevi usare la carta grossa dei menu delle pizzerie, mettere la storia anche in inglese come nei dvd, o forse solo lasciare delle pagine vuote da riempire, tante pagine bianche.
È così che fa la vita.

Ecco, io vado avanti col trasloco.

23.7.14

Facecook, l'angolo cottura del mercoledì - reprise


Il termine papero sta a indicare una giovane oca non ancora in età riproduttiva. Le oche sono quelle con il collo lungo.
Il vero nome di Paperino è Donald Duck, quindi è un'anatra. Nelle prime rappresentazioni però aveva il collo lungo, come un'oca.


Quindi boh, in Italia son tutti paperi quindi oche ma originariamente sono anatre anche se all'inizio avevano il collo lungo, però c'è anche Ocopoli dove teoricamente ci sono le oche vere e le anatre vivono a Paperopoli anche se non sono papere.

Insomma, la questione è complessa. Diventa però meno complessa nel caso in cui avessimo in casa un'arancia (non è stagione lo so, non qui, ma da qualche parte sì e un'arancia la troviamo di sicuro...)



Prendiamo dunque un petto d'anatra. Dove vanno le anatre di Central Park quando d'inverno il lago gela? Beh, ora lo scopriamo.

Bisogna incidere la pelle con un coltello, tre o quattro tagli perpendicolari, e poi si mette in padella a rosolare con una noce di burro. (noce, non noce di cocco eh, mi raccomando)
Nel mentre scaldiamo in un pentolino un dito di liquore all'arancia (Grand Marnier, Cointreau, quelle robe lì). Un dito vuol dire un po', non è che prendete un pentolino da un metro e mezzo di diametro, di quelli per fare la polenta, e ci rovesciate tre bottiglie di liquore.

Aggiungiamo il liquore al petto d'anatra e fiammeggiamo.
(fiammeggiare significa che si inclina un po' la padella verso la fiamma del fornello, in modo che i vapori dell'alcool prendano fuoco. Non fatelo se:
- la cappa sopra il vostro fornello è troppo bassa
- vivete in una polveriera
- siete accidentalmente cosparsi di benzina
- vi chiamate Giordano Bruno)

non esagerate col liquore...


Quando le fiamme saranno esaurite, pepate con disinvoltura, coprite la padella e lasciatela andare a fiamma media.

È giunto ora il momento dell'arancia, altrimenti il fatto di avere intitolato il piatto "anatra all'arancia" davvero non si sarebbe spiegato. In realtà avremmo potuto fare l'anatra alla rancia, che magari non sarebbe venuta nemmeno male

Oppure l'anatra al Larancia, piatto inventato nel 1963 dall'avvocato friulano Domenico Larancia. (Anche se recuperare in questa stagione dei testicoli di opossum avrebbe potuto rivelarsi davvero proibitivo).

Domenico Larancia oggi.


Dunque, prendete un'arancia e sbucciatela. Prendete la zesta e fatene delle fettine (la zesta è la scorza, è un nome che si usa in cucina per sentirsi fighi, ma sempre buccia rimane) e mettetele in un pentolino con un po' d'acqua, zucchero, un cucchiaio di aceto e un tot di succo d'arancia.
Nel mentre avrete tolto il petto d'anatra dalla padella e messo a riposare nel forno caldo spento.

Rosolate le fettine d'arancia nella padella col fondo di cottura dell'anatra, fate asciugare la salsina di zesta, magari addensandola con un po' di farina.

Ecco, prendete il pentolino di là, la padella di qua, il coso in forno là dietro e mettete tutto insieme.
Avete fatto l'anatra all'arancia. (se avete messo troppo aceto avete fatto l'anatra alla rancida, ma questa è un'altra storia).

Applausi.

Il parere degli ospiti

E così questo è un opossum... 

Meehehe!

L'Italia s'è zesta...

21.7.14

testé


Ho vissuto un'esperienza pre-internet. Per questo non ci sono. Non dovrei scrivere nemmeno questo post. Ma ho azzardato, al mio solito. Ci sono istanti che ti arrivano dopo, ti colpiscono dopo tre giorni come Ken Shiro quando ti preme un punto di pressione, e allora la testa ti esplode e a me è esplosa. Mi è capitato una cosa simile tempo fa, c'avrò avuto quindici anni, forse uno in più, l'ho vista e tutto sembrava terminato lì, un saluto, un sorriso (suo), una mano che ruota sul polso in un ciao svogliato ed effimero. Poi dopo tre giorni mi invade, non so pensare ad altro, mi scoppia la testa da quanto è piena di lei, come quando Ken Shiro ti preme un punto di pressione e dopo tre giorni che vivi con quel patema, magari mentre mangi o sei in bagno boom, la testa ti esplode e puoi finalmente smetterla con quell'ansia. Capisci che con queste premesse non è che puoi girare molto tranquillo per strada, con questo ritardo d'emozione che ti si insinua tra un respiro e l'altro e non ti permette di viverti. Comunque, era solo un esempio, non c'entra la cosa in sé, era per spiegare come succedono questi garbugli dell'essere. È che ho avuto un'esperienza pre-internet, di quelle che non lo sai dopo tre giorni cosa potrebbe succederti. Quindi meglio se adesso non scrivo. Domani forse, se non mi scoppia la testa.

14.7.14

ri-sotto


A Milano c'è sempre qualcosa da fare.
Quando la sera cammino verso casa, lo sguardo continua a perdersi su muri di manifesti sempre nuovi, non c'è mai il tempo di farli scolorire, strapparli, consumarli. Altro che Mimmo Rotella (dico di Rotella perché sono appena passato di fronte a un cartellone non strappato che pubblicizzava una sua mostra. Gli ossimori a volte...

Per dire, davanti casa mia adesso c'è questo
   
E chi glielo dice a Gegé Telesforo che lo scat è quella pratica, tendenzialmente sessuale, dove ci si caga addosso? ...tiamo

Comunque, passo in questa selva di manifesti e lo vedo

Lo vedo e penso sia troppo facile. Ergersi.
Perché volare è da sempre il sogno dell'uomo, guardare le cose dall'alto, sentirsi Dio, elevarsi fino a perdere contatto con la propria piccolezza, credersi un gigante come se quello fosse il proprio ruolo, dominare. E osservare la Terra dal cielo.
È emblematico. E triste. Perché non aggiunge niente, si accoda a secoli di desideri sognanti, fantasie aeree che tra l'altro a oggi sono ormai anche superate dalla tecnologia. Voliamo. Voliamo da decine di anni. Ci paracadutiamo con tute alari, saliamo su jumbo jet come su una corriera, sorvoliamo gli oceani, usciamo addirittura dall'atmosfera.

Insomma, la Terra vista dal cielo è ormai alla portata di tutti.
A cosa puntare quindi? Qual è la nuova frontiera del sogno? Che esperienza manca agli esseri viventi?

"La Terra vista dalla terra".

Abbandoniamo il punto di vista degli angeli per abbracciare quello dei morti.
Com'è la Terra vista dalla terra? Sottoterra.

Milano

Londra

Parigi

Kuala Lumpur

Abu Graib

Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch

Queste splendide foto sono state scattate nell'arco di un trentennio da Colin Arthus-Bertrand, fratello di quell'altro della vista dal cielo, il vero artista della famiglia.
Colin ha dedicato la sua vita a costruire una formidabile attrezzatura che gli ha permesso di fotografare angoli di mondo assolutamente impensabili. Tutti rigorosamente da 12,12 metri nel sottosuolo.

Il 12,12 m non è un vezzo d'artista. Secondo gli studi del fotografo quello è il limite di sedimentazione degli ultimi 5000 anni, il confine tra storia e preistoria,  l'inizio dello strato in cui la terra diventa pura e incontaminata. Mai toccata dall'uomo probabilmente.
E Colin fissa quella purezza nell'attimo stesso in cui la ruba. Come fosse l'amante della Terra, l'intimo predatore della sua verginità.

In questi giorni, se vi capita di passare per Milano, avrete ancora occasione di visitarla. Fino a fine luglio potrete godere della meraviglia di ben 121 foto che rappresentano incredibili scorci della Terra vista dalla terra, da New York al Polo Sud, dall'isola di Pasqua a Bresega di Ponso, un viaggio sorprendente che vi mostrerà con umiltà e fantasia la vera essenza del nostro vivere, le nostre origini e la nostra fine, in un'iperbole di variazioni sul tema, immagini sorprendenti che vi toglieranno il fiato e vi immergeranno in una liquidità solida e polverosa che vi mostrerà il mondo da una nuova prospettiva.

E niente, vi lascio con una delle foto più belle della mostra, anche perché è la prima che è stata scattata: gennaio 1972, Cascate del Niagara.


9.7.14

Di vita, morte e altri fastidiosi contrattempi



"Il principio di conservazione dell'individuo (ovvero la paura della morte) non può essere dedotto da sensazioni di piacere e dispiacere, bensì esso è qualcosa che dirige, è una valutazione, che si trova già alla base di tutte le sensazioni di piacere e dispiacere. Solo quelle attività intellettuali che conservavano l'organismo hanno potuto conservarsi; e nella lotta degli organismi queste attività intellettuali si sono continuamente irrobustite e raffinate" (F.Nietzsche - Frammenti postumi 1884 - Adelphi)

Iniziare con una citazione erudita fa sempre figo, stavolta però la cosa è funzionale al contenuto di questo post, che nello specifico non è proprio un post AMEN (Animali Meravigliosi Estinti Nefastamente) ma asintoticamente vi si avvicina e, per un sorprendente ossimoro logico, in questo caso estintore ed estinguendo si configurano nella stessa entità.

Ora, parlare oggi nel 2014 di questo sorprendente animale significa in qualche modo minare alla base tutti i costrutti che negli ultimi secoli sono stati applicati a quello straordinario concetto di natura che, partendo dalla prosecuzione della specie di Darwin fino ad arrivare al principio di conservazione dell'individuo di Dawkins, passando per l'epistemiologia evoluzionistica, ha trasformato la visione comune del mondo che ci circonda.

Il Cleo Karenino è un piccolo roditore che popola le foreste di mangrovie delle isole Comore, a nord del Madagascar. Ha le dimensioni di un topo domestico e un manto striato dal colore fulvo. Di fatto è un esserino abbastanza inutile all'interno del suo ecosistema. Non ha predatori naturali, è erbivoro, non vive in simbiosi con nessun'altra specie: la sua scomparsa non avrebbe nessun peso nell'economia generale della natura.


Esiste però una sua caratteristica, l'unica forse degna di nota, che lo rende uno degli animali più incredibili del mondo: il Cleo Karenino non vuole vivere. Non ha l'istinto di riprodursi, non ha l'istinto di sopravvivenza, di conservazione, di prosecuzione della specie.
Cioè, se dovessimo basarci soltanto sui suoi comportamenti il Cleo Karenino non dovrebbe esistere!

E no, non è la solita diceria tipo quella dei lemming che si suicidano (no, i lemming non si suicidano: 'sta cosa se l'è inventata la Disney e per girarci sopra un bel documentario hanno iniziato a gettare a manina le bestiole nel fiume... cercatelo nell'internet), e non è nemmeno una di quelle robe tipo zombie come il parassita della toxoplasmosi (il toxoplasma gondii quando infetta un topo gli viene una di quelle voglie di gatto che non può proprio farne a meno, e allora cosa fa? s'impossessa del cervello del ratto e gli fa fare cose strane tipo non avere paura e essere attratto dall'urina di gatto, così, tanto per farsi mangiare)

Ecco no, il Cleo va proprio in depressione che pare che abbia letto un libro di Pavese. Se ne sta lì, svogliato, tutto il giorno a fissare un punto all'orizzonte, una radice di mangrovia, e mangia. Perché il Cleo quando è depresso mangia. Poi in un istante gli viene lo schizzo, viene a tutti intorno al terzo mese di vita: cerca di suicidarsi. Gli studiosi dicono che è colpa di una pianta che mangia, che contiene la Cobaina e quando viene sintetizzata prende i centri nervosi. 

La realtà è che nelle isole Comore non succede mai un cazzo, e ci si annoia, e non ci sono predatori naturali, e si mangia sempre la solita pianta di merda. Insomma, ai Cleo capita spesso di guardarsi riflessi nello specchio di qualche fiume e sentire lo spleen.

Ma quindi, se l'istinto al suicidio è così forte, se il Cleo non è programmato per sopravvivere, com'è possibile che non si sia ancora estinto?
Molto semplice, l'istinto porterebbe il roditore a impiccarsi con le liane che pendono dall'intrico dei rami di mangrovie. Un Cleo di tre mesi cerca di impiccarsi anche 40-50 volte al giorno. Solo che l'anatomia di questo sfortunato animaletto non è delle più indicate, infatti il Cleo non ha collo e ogni volta che tenta l'impiccagione scivola mestamente giù fino a rotolare sui morbidi prati delle Comore. La pioggia di Cleo Karenini è una degli spettacoli a cui assistono milioni di turisti ogni anno.

Spesso rotolando capita anche che due Cleo copulino accidentalmente mettendo al mondo altre progenie che seguiranno i genitori nel loro mesto rituale di cappi inefficienti. 
E la vita continua. Anche per chi non la vuole.

C'è chi legge nella triste storia del Cleo una metafora della vita, chi invece pensa che alle isole Comore ci si rompa davvero il cazzo, noi crediamo solo che se non hai il collo forse è meglio che lasci perdere le liane. E spero che questo sia di insegnamento per tutti.

3.7.14

cuerpo escondido

Non è colpa dell'estate, non credo. Anche se non mi trova mai pronto del tutto.
Non che disprezzi quei silenzi da pomeriggi afosi, quando la gente non esiste e per un istante le cicale smettono all'unisono di frinire. (frinire, verbo incoativo, cioè che amplia il paradigma desinenziale ordinario con l'interfisso -isc- tra radice e desinenza, alla 1ª, 2ª, 3ª e 6ª persona dell'indicativo presente, del congiuntivo presente e dell'imperativo).

Che ogni volta che il canto d'una cicala s'interrompe a me ritorna alla mente il Saggiatore, Galileo, e quell'uomo curioso che cerca l'origine dei suoni fino a riassumerli nella vita stessa. Avevo quindici anni credo, terza superiore forse, in tasca un portarullino con ancora qualche gettone telefonico. Clank-clank, a ogni passo, quand'era quasi vuoto il suono sordo della plastica dura, altrimenti quel chhhsss da piatto di batteria. Scuoteva, come una cabasa, ritmava il suono del mio essere vivo, quando pedalavo a ripercorrere i sentieri dei miei innamoramenti, braccando le traiettorie imprevedibili di un super tele, arrampicandomi sui salici piangenti con quel cilindro che premeva sul quadricipite fino alla soglia del dolore. Clank. Clank.

Li trovavi sul ciglio della strada ricordo, ogni tanto capitava. E ti avvicinavi circospetto con nell'animo il gusto del sorprenderti, l'illusione del contenuto, la speranza dell'inimmaginato. Prima era solo un suono, da ascoltare con le dita prima ancora che con l'udito, poi la resistenza del tappo, il rumore leggero dell'aria che usciva. Quanto c'è stato lì dentro? come un tesseract dallo spazio infinito, come il gonnellino di Eta Beta, come le idee di quegli anni, fagocitate crudelmente dalle loro succeditrici.

Ora non ci sono più, e la cosa assurda è che servirebbero. Perché abbiamo ancora monete sonanti, biglietti, perline, hashish, batterie, sassi, biglie. Sono i rullini che non servono più, perché dovremmo privarci anche dei portarullini? È come per quegli animali che si estinguono a causa della sparizione degli insetti di cui si nutrivano.

Ecco, tutto per dire che probabilmente mi sento così, come una cosa che potrebbe essere utile ma che ha concluso il suo tempo. Mi sento così mentre scrivo, mentre mi lavo i denti, mentre cucino, mentre clicco sul pulsante pubblica di questo blog.

Sarà che l'estate non mi trova mai pronto del tutto.
E no, non è per la prova costume, anche se l'unico costume che mi potrebbe stare decentemente è quello da barbapapà.

È che non mi fa ridere niente di quel che penso, nemmeno le cose stupide. Anzi, è che non penso a cose stupide. E no, non sono cresciuto.

Quindi boh, pospongo.

(quando avevo quindici anni mi ero fatto tutta una tabellina dei significati sei vari suffissi della parola pongo.
pospongo = un bancomato fatto di pongo
sottopongo = sotto al pongo
impongo = dentro al pongo
appongo = andare verso il pongo
...
...
fatelo, ce ne sono tanti.
ripongo = un'altra volta pongo...)