29.9.11

Se muori siamo pari - ovvero ti amMakkox

L'odio.
Da fruitore di wikipedia potre dire che "l'odio è un sentimento umano (umano!) che si esprime in una forte avversione o una profonda antipatia. Lo distingue da questi ultimi la volontà di distruggere l'oggetto odiato, e la percezione della sostanziale "giustizia" di questa distruzione: chi odia sente che è giusto, al di là di leggi e imperativi morali, distruggere ciò che odia".

Sempre nella pagina di wikipedia troviamo in bella vista l'ideogramma cinese che rappresenta l'odio, sa'lcazzo perché


Ecco, adesso lasciatemelo fare!
Dopo anni che mi smaronano in ogni dove sui messaggi subliminali nascosti nei cartoni animati della Disney, sono giunto alla conclusione che il vero messaggio subliminale è che ci sono i messaggi subliminali. Ovunque.
Basta saperli e volerli leggere.
L'ho visto fare sull'internet e adesso lo faccio io. Guardate:


Dall'ideogramma cinese "odio" vediamo apparire, in modo neanche troppo velato, la scritta "Mak". "Makkox", capite?
Odio.

Perché Makkox è una persona buona. E le persone buone odiano.
Quelle cattive disprezzano, irridono, denigrano. Ma non hanno quel senso della giustizia tale per suscitarsi il moto inveterato denso di annientamento e rancore che solo un buono sa provare.
E' probabilmente in quel vituperato sentimento che si nasconde la scintilla che anima certe ispirazioni, il bosone di Higgs che, spogliato da tutti gli orpelli della materia, si nasconde tra le pieghe di quell'anima irrequieta, in un entanglement perfetto con la punta della penna.

Parlare di Makkox non è facile. Il rischio è sempre quello di lasciarsi ammaliare dalla sua bravura, dalla perfezione dei tempi, dal "dono" e adagiarsi in un "bravo", un "genio", un "sublime". Insomma, il rischio a parlare di Makkox è quello di ritrovarsi a fargli un pompino (dialettico) e smettere di pensare invece a quel che realmente ha fatto, a quali sono le sensazioni che è riuscito a trasmettere alla carta, magari soffermarsi anche sugli intenti, i significati, l'umanità.
E di pompini Makkox non ne ha proprio bisogno, perché (cazzo) è davvero bravo!


E' proprio nell'odio, comunque, che troviamo il filo conduttore di questo "Se muori siamo pari" (che, diciamolo subito, merita sicuramente una seconda lettura... quotidiana).
Non tanto in quello perpetrato dall'autore (che c'è), non in quello espresso dai protagonisti (che a volte è una coltellata), ma soprattutto in quello provato dal lettore, suscitato più che manifestato.

Perché in ognuno dei sei episodi proposti arriva il momento in cui si frantuma l'empatia con uno dei personaggi. E lo si odia. Per ciò che è, per il suo non essere stereotipato, per il suo non essere un segno colorato su un pezzo di carta, per la sua tragica, crudele, tangibile realtà. Lo si odia per quella parte di lui che è esistita nelle nostre vite, magari in noi.
Lo si odia per il suo modo di essere mamma di Cogne, fattore di Avetrana, casalinga di Voghera, disegnatore di Formia...

Attraverso le parole, ancor più che coi disegni, gli infimi segreti della gente normale vengono svelati.
I testi sono sofferti, crudi, rivelatori e riescono talvolta a sovrastare addirittura le illustrazioni. Pur azzardando una verbosità complessa e ricercata (non aulica, ma ricercata sì), le pagine non sono mai pesanti, l'occhio non tenta mai di imbrogliare, di passare oltre. No, il modo in cui è posizionata ogni parola, la cura e l'utilizzo del lettering, l'inelegante realismo dei discorsi: tutto è da gustare.

E così, di odio in odio, in un'alternanza  inquietantemente rassicurante, l'artista formiano ci trascina in un ruvido susseguirsi di situazioni senza epilogo, visioni incomplete di un mondo rassegnato. Si ferma sempre lì, sempre un attimo prima: sembra che ci tenga la mano in quel viaggio e invece ci accorgiamo all'ultima vignetta che lui non c'è, è già arretrato di qualche passo e ci guarda.
Siamo soli di fronte all'irrealizzazione, al dubbio, al cosa c'è dopo, e lo odiamo. Profondamente.
Odio.

Ecco, detto in due parole questo libro è fastidiosamente caustico. Detto in una parola è odio.
Detto senza parole è


Eppure mi piace!

Parole, parole, parole: Diacronia


In linguistica, la diacronia indica lo studio e la valutazione dei fatti linguistici considerati in base al loro divenire nel tempo, secondo una prospettiva dinamica ed evolutiva. Questo sempre ascoltando quel che dice wikipedia.

Tutto questo per dire che la lingua cambia nel tempo. Parole, locuzioni, frasi, sintassi, se riappiccichiamo i fogli sui calendari passati, le vediamo mutare, nascere, morire, resuscitare. 
Perché la lingua è un fiume che travolge le nostre esistenze e varia il suo corso in base agli accadimenti, grandi o piccoli che essi siano.

E così, anche la tua lingua varia nel tempo, i significati si invertono nella danza dei giorni, quel che mi dicevi mesi fa adesso ha trasmutato il proprio senso, all'incoscienza dei "sì" è prevaricata la rigorosa cupezza dei "no", e le singole parole hanno un suono incostante, denso d'incomprensione. Diacronia.

E in tutto questo cambiare, io sono rimasto lo stesso.

28.9.11

Un giorno da Pecorino


Ci sono giorni in cui prendersi sul serio proprio non conviene.
Eppure è con serietà che scrivo queste righe.

Di Pecorino credo di averne già parlato da qualche parte in questo blog.
E' il personaggio di un fumetto. L'intuizione goliardica del Giack, padre padrone di quell'entità fumettistica che, pur nella sua irreale irrealtà, si proietta come un proiettile attraverso la nostra reale realtà.


Pecorino nasce, probabilmente, come presa in giro del "mondo Disney", l'esasperazione della sfortunata quotidianità di un empatico Paperino, quello che fa simpatia pur incarnando i vizi contro cui generalmente ci lamentiamo: la pigrizia, l'inoperosità, il nepotismo, l'incompetenza...

Nella sua tragica riproposizione però Pecorino va oltre, si spoglia di quei difetti per presentarsi a noi puro, ingenuo, vittima innocente (un agnello sacrificale, appunto) delle proprie azioni, azioni tanto normali quanto sconsiderate. E' proprio in questo passaggio che Pecorino diventa 'NOI'. Noi lamentosi, sfortunati, irrecuperabili, rassegnati. E nella rappresentazione della sua realtà scorgiamo la nostra: l'affidarsi a un mondo che si rivela sempre e comunque ostile, il credere, l'imbonire, il tradimento perpetrato da chi più ci è vicino.


Perché l'epilogo è sempre lo stesso, qualunque sia la narrazione, la storia, la vita, finisce sempre così: Pecorino la prende sistematicamente in culo!
Ed è proprio il sistema, quello della politica che a crederci o non crederci, quello dell'economia che a crederci o non crederci, quello della società che a crederci o non crederci, insomma quello di NOI che a crederci o non crederci, a fare o non fare, dire o non dire, alla fine tocca che la si prende in culo (rimango nel metaforico naturalmente).

Ecco Pecorino è questo, o almeno questo è quello che ho pensato quando l'ho letto per la prima volta.
E a farci un pensiero serio mi sembra un personaggio così malinconico.

Così malinconico appunto che ho pensato che non merita una redenzione, una riscossa, una via di fuga.
Appunto perché è l'incarnazione di quello spirito imperterrito e cocciuto che continua ritornare, a vivere, a insistere, a lamentarsi anche, ma senza poi cambiare nulla di ciò che è e ciò che fa.

Non ho voluto dare scampo al nostro eroe nemmeno in un mondo di fantasia, e ringrazio Il Giack che me l'ha permesso e soprattutto che ha disegnato e inchiostrato in modo splendido quel che mi è passato per la testa in quel momento.
Il senso di tutto, a parte che a me fa ridere e questo mi basta, credo di averlo già spiegato qua sopra, quindi se siete arrivati qui lo sapete già.
Quindi Pecorino contro Harry Potter Fotter, il reietto contro l'eletto, perdente e vincitore che per un istante si confondono, ma è solo illusione: perché Pecorino perde anche quando è vincente. E vabbè, lo so che così vi ho raccontato il finale.
Ma in fondo è sempre così che finisce.

Se clicchi si ingrandisce

27.9.11

Acquisti

Comunque dal Treviso Comic Book Festival me ne sono tornato con questi:

Buon compleanno!


[...segue]
Vivere di lei significava vivere d'invenzione.
Ogni momento importante necessitava di un corrispettivo irreale, uno specchio deformante che ne ridisegnasse i bordi. Non perché il mondo non ci bastasse (il mondo era fin troppo per noi al tempo), ma per l'irritante consapevolezza che nel mondo così com'era non saremmo potuti esistere.

Non era neanche una questione d'improbabilità a dire il vero. Sì, gli anni di differenza erano un abisso in quel momento, ma era un abisso in cui il cadere era morbido e sfumato. E non era nemmeno il volersi o il piacersi, quantomeno non lo era per me.


Eppure c'era qualcosa che non funzionava nel reale.
O forse era soltanto una scusa per inventare. Costruire mondi e modi, personalità, situazioni.
Universi in cui perdersi e trovarsi, fantasie talmente nostre da essere addirittura imperfette, fallaci, avverse.


E tutto per un gioco d'anime che arrancava nell'illusione di aversi, senza trovare l'effettiva direzione in cui posizionare quelle due tessere del puzzle che sapevamo essere fatte per combaciare. Ma non ci siamo mai riusciti. Forse.


Quel giorno era il suo compleanno e io avevo una storia per lei. 
[continua...]

Tratto da Q.C.D.A.S., un libro che non esiste ma non importa.

26.9.11

Sergio Bonelli.

Mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto.
Perché quelle poche volte che mi è capitato di vederlo e sentirlo mi ha dato l'impressione di un uomo buono.
E perché a volte non ci fai caso, ma ovunque ti giri in casa mia va a finire che incontri il suo nome stampato da qualche parte.
E se una persona è a suo modo così presente nella tua vita, beh, la vita contribuisce a cambiartela.

E così è stato.

25.9.11

Sesso, bugie e grilloblattoidei


[ATTENZIONE, LEGGETE A VOSTRO RISCHIO E PERICOLO. SIATE MAGGIORENNI]

Mi capita spesso di abbandonarmi ai link. Senza un disegno preciso, uno scopo. Solo per assecondare un istinto al sapere, stravolgere il causa-effetto ottenendo una risposta ancora prima di essere stato in grado di formulare la domanda.
Quando, qualche giorno fa, si discuteva un po' ovunque di nodi, bondage, shibari e le tv riestraevano per l'ennesima volta dai cassetti naftalinati i soliti psico-qualcosa da trasmissioni del pomeriggio, mentre amabilmente si dissertava di deviazione, perversione, parafilia. Mentre il mondo serio dava un giudizio insomma, io me ne cliccavo serafico col mio mouse e saltavo da una pratica all'altra (le chiamo pratiche anche se sembra una cosa da assicurazioni, ma perversioni e affini non mi sembrano mai adeguati come termini).

Tralasciando quindi le "solite cose" che tanto le conosciamo tutti, ché mica posso mettermi qui adesso a parlavi di spanking, fisting, pissing, pegging, trampling o bondage(ing). Se mi state leggendo significa che avete una connessione internet, togliete il filtro bambini di google e cercatevele! (ma se non sapete 'ste cose cosa ci fate qui?).

Comunque, non posso esimermi dall'esplicitare ciò che più mi ha incuriosito. Naturalmente lo farò col garbo e il gusto che da sempre mi si confacciono.

Iniziamo

Pony-play

Vabbè, cominciamo soft e più che altro con una cosa affettiva. Perché io The Secretary lo adoro (e chi non l'ha visto vada a vederselo prima di continuare e sappia che non ha mai vissuto), e il pony-play non può che ricordarmelo.
Comunque, gioco erotico in cui uno dei partecipanti assume il ruolo del cavallo (pony) e l'altro del padrone. È solitamente praticato nell'ambito del BDSM e viene definito "la perversione di Aristotele", in riferimento alla leggenda che il filosofo avesse la predilezione ad essere montato come un cavallo.

Figging

















Rimaniamo in tema equestre poichè questa pratica trae origine dall'abitudine di dissimulare l'anzianità di un cavallo, inserendo nell'ano del cavallo la suddetta radice [zenzero N.d.R.], ottenendo così il risultato di spingerlo a sollevare la coda e muoversi nervosamente, comportamenti tipici di un animale giovane.
Il modo in cui tale macabra usanza sia stata traslocata in ambito sessuale mi sembra superfluo spiegarlo.
Anche se quel che più mi interessa di questa cosa è lo zenzero. Cioè, perché non il rafano? O un jalapeño? O un peperoncino di Soverato? No, proprio lo zenzero. Addio piccolo omino di zenzero, diciamo che questo Natale ti vedrò con occhi diversi... (Grazie a Makkox per essersi fatto rubare l'immagine)

Gerbilling
Vabbè, il gerbilling non esiste. Oppure esiste e quindi assumono un senso anche i suicidi di massa dei lemming. Ma a me la scena di Richard Gere in uniforme che prende in braccio un criceto fa ridere.


Furniphilia

















E' una attività sessuale particolare, consistente nel farsi sottoporre o sottoporre altri soggetti a varie forme di travestimento del corpo, tali da renderlo simile, nell'aspetto e/o nella funzione, a un oggetto di arredamento.
C'era quella volta il piccoletto tozzo che sembrava un comodino, e il tipo allampanato lungo lungo che somigliava a un attaccapanni, e si vantavano, e si vantavano... Cazzo, avevano ragione loro!(Che uno poi è morto d'infarto all'Ikea l'anno scorso...).


Crush Fetish













L'ho tenuta per ultima, ma solo perché volevo darle più importanza.
In pratica è una forma di feticismo che consiste principalmente nel desiderio di vedere altri individui (generalmente il proprio o un potenziale partner) calpestare un oggetto o un insetto.
Non me ne vogliano gli adepti, ma mi fa ridere. Una risata sana s'intende, e del tutto rispettosa. Ma a me pestare una cimice proprio non mi ecciterebbe, mi sa.
Che poi, mi vengono in mente certe sere, qui nella paludosa pianura veneta, in cui è tutto uno schiacciare di zanzare, un appiattimento di pappataci, uno spiaccicamento di moscerini. Quanti orgasmi inespressi, quanto inutile spreco...

Quanta voglia di non fare un cazzo che c'ho io oggi!

24.9.11

La soluzione



Quando ti ho incontrata ero già morto.
Per due volte avevo deciso, senza neanche una lettera, una spiegazione. Solo il fatto, così, nella spoglia semplicità di ciò che era: fine. Maschile e femminile, in quel gesto sovrapporre entrambi i significati. Senza neanche una lettera.

Sai, quando dicono ‘il freddo della lama’? E’ una stronzata, non lo senti. Solo il calore del sangue che si affaccia ai lembi di quel taglio perfetto.
Prima è il bruciore, un dolore consolante che ti strappa un sospiro e ti fa chiudere gli occhi come se ti stessero accarezzando. Chissà se è la morte o la vita?
Poi comunque è il sangue, colore, calore e il palmo della mano che arde di quel passaggio vermiglio.
La cicatrice neanche si vede, si è nascosta con precisione nella piega del polso, nello stesso punto in cui hai infilato le unghie per la prima volta, per portarmi via, trascinarmi nella tua realtà.

E’ così che ti ho messo la vita tra le mani, con la consapevolezza che tenendola nelle mie avrei fatto solo disastri.

Quanto tempo è passato da allora: forse secoli, forse addirittura mi confondo e non fa nemmeno parte di questo tempo quella storia.

Tuttavia, davvero non lo so dove sia finita quella vita. Io non ce l’ho, tu non ce l’hai. A volte davvero mi chiedo se sia mai esistita. E se sei esistita tu, così come ti ricordo.

Oggi c’è il sole. Oggi troverò l’assoluzione.

23.9.11

Il senso delle cose

O più che altro, il senso di me.
Non lo trovo.

Probabilmente ho un senso per qualcuno, ma il mio senso, quella particella di tutto a cui abbandonarsi completamente, non so, io non lo percepisco. Non adesso quantomeno.

Comunque oggi è il 23 settembre, fra qualche ora pezzi di satellite precipiteranno sulla Terra colpendo i politici gay omofobi presenti nella lista, che però verranno salvati dai neutrini che viaggiano superando la velocità della luce sospinti dai tunisini che se ne vanno da Lampedusa costringendo i R.E.M. a sciogliersi.

Il senso delle cose.

22.9.11

Facecook: l'angolo cottura del mercoledì 3 (post che avrei dovuto scrivere un bel po' di mercoledì fa)


Metti caso che lunedì avessi voluto fare del sushi e con l'ingenuità che imporpora le tue gote e l'esuberanza della tua giovane età avessi comprato un avocado.
Poniamo poi che l'avocado non fosse stato proprio al culmine della sua maturità, ma che anzi, pur avendo quella cedevolezza al tatto, ben descritta nel famigerato manuale "Paralipomeni del riconoscimento della maturità ideale del frutto dell'avocado" (libro che noi massaie provette ci siamo ovviamente scaricate da emule), non avesse quella sua caratteristica burrosità e ciò fosse indice di una crudescente crudità. Che poi c'hanno insegnato fin da bambini che verde=crudo altro=maturo, e che cazzo ci fa in natura un frutto che da crudo è uguale al maturo? 
 Comunque, come dice il proverbio, ciò che è crudo il lunedì è maturo il mercoledì (soprattutto se lo metti in finestra dentro un sacchetto con un pomodoro, ché come ben si sa l'avocado è un frutto climaterico di quelli tosti e in due giorni ti produce tanto di quell'etilene che neanche in Vietnam)... Dunque abbiamo 'sto inutile avocado del diavolo (ahahah!) è ovvio che non vediamo l'ora di trasformarlo in una salsina dal gusto deciso ottima per accompagnare un delizioso antipasto per i tuoi amici: così almeno era scritto su giallozafferano ma non sono riuscito ad andare oltre quindi non lo so come fosse la loro salsa!
La mia l'ho fatta così:
prendiamo il burrosissimo e maturissimo avocado, tagliamolo a metà ed estraiamo il nocciolo, con un coltello togliamo la buccia e poi apprestiamoci a produrre la più classica delle dadolate. Poniamo i dadini in una scodella e iniziamo a schiacciarli con una forchetta emulsionando con un paio di cucchiai di olio evo (che, e lo dico per quelli che hanno internet solo per entrare in fb, significa 'extra vergine d'oliva'). In questo parkinsoniano incedere aggiungiamo di soppiatto un quarto di cipolla e un quarto di pomodoro tritati finissimamente, che se mia morosa si accorge che c'ho aggiunto il pomodoro fresco mi proibisce per un mese di andare a leggere la pagina fb di Militia Christi.
Pepe sale e un pizzico di paprica e la salsa è pronta.

Buonanotte a tutti!














Ok, ok...e con che cosa la mangiamo la salsa? Cervantes diceva che "la miglior salsa è la fame", d'altronde Wilde dal canto suo disse che "La cosa negativa di internet è che è sempre complicato stabilire la paternità delle frasi"...Mauro invece dice: la mangiamo con degli spiedini di tacchino aromatizzati alle spezie per kebab!
 Ridadolate il petto di tacchino, cilindrate della salsiccia di tacchino e parallelizzate un peperone (rosso o giallo fa lo stesso, basta che non sia verde - vedi sopra -), saltate tutto in padella con un filo d'olio sale pepe e nell'ordine paprika, aglio, cumino, cipolla, origano, visto? le iniziali formano la parola "pacco" (caso? mistero? sindrome di assembach?), basilico e senape tritata (best?), magari sfumate con un po' di vino bianco che io non ce l'ho che in casa non beve nessuno...
Quando la carne sarà insaporita spegnete la fiamma e appena si sarà raffreddata (per i temerari, i masochisti, gli stupidi e la torcia umana va bene anche da bollente) infilatela con amorevole alternanza democratica su degli spiedini che poi adagerete su una piastra in ghisa arroventata da un fuoco allegro, addirittura ilare.
 Voilà! Il titolo è 'Spiedini di kebab di tacchino impreziositi con salsaspeziata di avocado' ma potete anche dire 'il tacchino con l'avocado' o per noi giovani il T.A. (ti-ei).
Rapidissimo il giudizio dei nostri commensali.
Lo spiedino piace tantissimo ai pampini!

Meehehe!


Ma che ancora??? TACCHINO! TACCHINO! Non attacchino...sigh!

E' BONOOOOOOOOOO!





21.9.11

malinconie

A te che era troppo presto
e anche a te che invece era troppo tardi,
a te che non è il caso a te che non  mi piaci.
A te che siamo amici, a te che così non può andare avanti, a te che no!

A te che se trovassi uno come te,
a te che non è il momento, a te che ti farei del male,
a te che non me la sento, a te che perchè?
A te che ho di meglio, a te che non ti merito, a te che non avevo capito.

A te, soprattutto a te che non sono per te, non è per te, e ho creduto di non essere neanche per me,
a te che non lo so, a te che ahahahah!, a te che non è mai esistito quel momento, ma fa male lo stesso.

A voi, il mio sentire stasera. Per non aver saputo odiarvi come dovevo, amarvi come volevo, perdervi come meritavo. E siete qui, a ricordarmi ciò che sono e come lo sono diventato, a sorreggere lo specchio in cui si riflette questo mio stare e quel che ho.

E a te, che e neanche mi conoscevi. Chissà se t'ho amata abbastanza...

20.9.11

MISSivede?


Ieri sera è successa una cosa.
Una di quelle cose che ti segnano per sempre. Magari non ci badi subito, ma arriva l'attimo in cui comprendi che ti hanno cambiato la vita.

Bene, ieri sera ero sul divano che giochicchiavo col telecomando quando a un tratto si è acceso il televisore.
Ecco, di solito quando succede appare qualche canale strano con donne che sgravano in modo inconsulto o psicologi dei cani che Freud si sta rivoltando nella cuccia.
Esiste però una combinazione di eventi, non chiedetemi quale perché non la so (altrimenti la eviterei), per cui il canale che appare è il primo, l'uno, RAIUNO!

Ieri sera è successo.
C'era Frizzi che sbraitava qualcosa su chi è che gioca a pallavolo e chi fa il paracadutista. Non ho la forza di premere altri tasti. Soccombo.
Mi distraggo un attimo, un rumore, forse le gatte ma in realtà spero sia un ladro, un killer seriale, una squadra di alieni venuta a rapirmi, Gordon Ramsay che viene a controllarmi la cucina, insomma: qualunque cosa possa portarmi lontano dalla tv anche morto.

Chiudo gli occhi. Li riapro. Frizzi è ancora lì.
Davanti a lui però adesso c'è un plotone di ragazze in costume. Sorridono.
Io che ho capito il gioco inizio a pensare chi è che frigge melanzane, quale sia quella che produce grappa, mi sa che è quella bionda là che ha 20 fratelli, sì sì, la moretta con le mèches lavora di sicuro in una serra idroponica, guarda che unghie è lei che cerca tartufi... e via così.

La sensazione è comunque che ci sia qualcosa che non va, ma non importa. Pubblicità.
Ora ce la faccio, ora spengo. Percepisco che il divano si allunga, il telecomando è sempre più lontano, sul bordo di un cuscino asintoto che tende a infinito, ma posso farcela, devo. Spengo.

Spenta. Il friccicorio del gatto che si strofina sullo schermo spento è una ninna nanna che profuma d'oblio.
Anche se qualcosa mi resta. Insomma, tutte queste ragazze in costume che gareggiano per essere eletta 'la più bella' e in pratica non le ho nemmeno guardate.

Mi affido all'internet. Pochi rapidi gesti e passeggio all'interno della galleria delle immagini.
Sì, sì, no, ommiodio, sì, insomma, vecchia, apperò, sì, no, e questo? cioè, ma che davero?

Per motivi di privacy non diremo il nome della concorrente, ma un nome invece per battezzare quel che si nasconde sotto a quella protuberanza, a me viene anche in mente.

Dunque, confrontiamolo con l'unità di misura ufficiale internazionale per i pacchi, il Raoulbova.


Come possiamo notare, la giovane aspirante miss presenta all'incirca un Raoulbova e mezzo, misura di tutto rispetto per un lottatore di wrestling, ma che ben poco si addice alla fascia più ambita d'Italia e che comunque rischia di diventare ingombrante quando si scendono le scale coi tacchi.
Da non sottovalutare poi la maestosità dell'ombra che lambisce la coscia, io di sicuro no, ma il buon Eratostene sarebbe stato sicuramente in grado di ricavarci qualcosa.

Io adesso non so chi abbia vinto ieri sera, ma se per qualche motivo dovesse essere lei, beh, allora stamattina mi sono svegliato in un paese migliore.

19.9.11

dualismi

Un'infelicità voluta mi dissero, moto irresponsabile dell'animo, il compiacimento sterile di un autolesionismo emozionale. Voluta.

Nello stesso modo in cui si cerca la fatica, con l'impeto rassegnato di chi si priva per non osare, un'appagante ospedalizzazione della propria essenza.

Non sapevano, davvero, non sapevano che si trattasse invece di una felicità involuta, l'implosione rovinosa di un attimo inaspettato, l'agonia collassante di un procedere avulso.
Solo l'ombra della Terra che come una lacrima scivola dalla faccia della luna.


E con gli occhi chiusi illudersi ancora che quell'eclissi fosse per sempre....

17.9.11

Parabole


In quel tempo si avvicinarono a Gesù alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero:
«É lecito a un uomo appartarsi con un altro uomo?». Ed egli rispose: «Ma tipo per parlare? Quello sì, ché Dio parla anche tramite la bocca degli uomini».
Ma essi lo incalzavano facendo gesti con le mani e schiacciando l'occhiolino «Gesù, siamo nell'antica Galilea non è che possiamo usare dei verbi più espliciti. "Appartarsi", hai capito dai».

Allora Gesù si alzò e guardando i suoi discepoli disse:  «Guardate il kren: il suo seme è tra i più piccoli dell'orto, eppure la radice della sua pianta, in qualsiasi modo tu laprepari, fa schifo anche a me che sono il figlio di Dio. E mio padre questo lo sa».

Pietro, che fino a a quel momento era stato in disparte, contestò:  «Maestro, ma che cazzo c'entra?».

Sollevando gli occhi al cielo il Signore lo apostrofò:  «Pietro, le volontà del padre mio sono tutte compiute qui sulla Terra. Lui sa che al suo figlio non piace il kren, eppure il kren esiste. Vuoi che non sappia come si accosta a voi Giovanni quando vi lamentate di quanto stressante sia seguirmi? Lo sa, e come per il kren, evidentemente gli va bene così».

Parola del Signore.

15.9.11

e-citazioni


Allora, ricapitoliamoci.
Di John Doe 11 ne avevo parlato qui, citando la citazione al detective Smullo di La Rosa, il quale ne aveva parlato qui. Io poi di La Rosa avevo parlato qui, ma quella era un'altra cosa.
Succede poi che se Smullo appare di qua allora John Doe appare di là. Quindi ecco il fumetto, che già si è digievoluto in metafumetto, appare in un altro fumetto, che poi è Dio, che poi è questo.
Che tra l'altro Dio (che è un fumetto) sta leggendo il fumetto di John Doe (che è Dio) che comunque è già un fumetto nel fumetto e ha sfondato la barriera della fumettosità per combattere contro gli sceneggiatori che però erano i personaggi a fumetti degli sceneggiatori mentre i lettori non si sa su che piano di esistenza siano veramente. Fatto sta, che citazione per citazione Recchioni cita qui la citazione derivata dalla citazione che era stata citata da La Rosa.
Spero di aver citato tutti.

Fatto sta che questo è solo un promemoria per una cosa che devo cercare da mesi e che volevo mostrare a La Rosa. Una cosa di coincidenze.

14.9.11

L'inutile e il dilettevole

Hai atteso per mesi, a volte anni, che arrivasse il momento giusto, hai acceso candele, soffuso luci.
Hai mentito, mercanteggiato stanze e letti, hai tradito a volte.
Hai rinunciato a una partita con gli amici, hai cambiato macchina solo per quello.
Hai amato, amato tanto, e hai cercato di esserci con tutto te stesso per non perdere niente di quell'attimo.
Hai continuato anche quando la testa diceva basta, hai lasciato il cuore sulla punta delle dita, hai vissuto, sperimentato, assimilato, e ogni volta l'hai cercato nel modo che pensavi migliore. Hai anche sbagliato ma è servito, hai respirato a fatica dal troppo aversi, hai consumato le ginocchia su un pavimento troppo ruvido, le labbra sulla linea di confine di un giorno irrisolto. Hai pensato a tabelline, babbuini, alla formazione dell'Italia '82, hai inseguito il tempo per regalarlo al suo piacere, hai cercato in una profondità di occhi la via del suo appagamento. Ti sei imbarazzato per muri poco spessi, infervorato per un urlo che sembrava dovesse non finire.Ti sei abbandonato sfinito sul suo seno, hai soffiato su un gemito come su un'esca per il fuoco, hai chiesto 'ti è piaciuto', hai chiuso gli occhi per non distrarre gli altri sensi in quell'istante. Hai sognato di averlo nel tempo stesso in cui ti veniva regalato.

E tutto questo sappi che è stato inutile. Inutile.

La Repubblica.it

13.9.11

Poeti maledetti e maledetti poeti


[ AVVISO AI LETTORI] - Il testo che seguirà contiene un'elevata dose di ironia e un sottile e sagace sarcasmo. Non sia mai che qualcuno possa mai pensare che io l'abbia scritto credendoci veramente.
Ogni riferimento al mondo reale è, purtroppo, tristemente non casuale. E ci tengo a precisare che non c'ho trovato niente di poetico!


TRISTE IL GIORNO

Triste il giorno in cui il setoso deliziarmi del tuo abbraccio
sarà solo un tag su facebook,
sarà un 1 sullo schermo, un pallino verde fermo.

Cupo il giorno che la languida carezza dei tuoi sguardi
saranno dei pixel bugiardi,
l'occhio freddo della cam, un pc con poca ram.

Notte amara quella dove la mia voce incontrerai
solo accendendo skype,
la tua foto in primo piano, e un metallico 'ti amo'.

Notte greve quando invece di sfinirci nell'amore
chatteremo delle ore,
anche sul telefonino, l'illusione del vicino.

Ho linkato il tuo profilo, ti ho twittato che ti adoro:
messaggiandoti sospiro, ti ho cercata anche con google.

E io arranco scaricando la mia anima da emule,
il mio cuore è quel pop-up su cui clicca la tua assenza;
non c'è linea, non c'è campo, non c'è alcuna connessione:
la mia speme è pochi byte,
tu sei, amore, il mio wi-fi.

Poco importa se per caso
abitiamo a pochi passi,
col bluetooth ti mando un poke,
basta che poi non mi scassi!

12.9.11

La solita figura di nerd

Era il 1985 quando uscì "La rivincita dei Nerds", avevo 7 anni, al cinema c'erano le sedie di legno col sedile che si abbassava, le M&M's stavano superando le Smarties nella mia personale classifica delle praline al cioccolato, io sognavo di avere un Commodore VIC 20 e una BMX come ne "I ragazzi del computer" e Caccola mi faceva ridere un casino.

Da allora, quando sento la parola nerd un brivido mi percorre la schiena e so già che qualcosa di ipnotico accadrà alla mia vita.
E' per questo che quando abbiamo visto che sabato c'era questo

abbiamo inforcato i nostri occhiali aggiustati con lo scotch e siamo partiti alla volta di Movieland.

La parola nerd probabilmente deriva da "knurd", "drunk" al contrario, usata per indicare quelle persone che alle feste non si ubriacavano.
Il tipico nerd indossa una maglia di Star Wars (magari con pancia ben in evidenza), porta sulle spalle il classico zainetto ricolmo di fumetti, cards e  banchi di ram, e non abbandona mai il proprio Iphone costantemente collegato alla rete e all'Ipad nonché all'Ipod e magari al Mac Air. Insomma, io sono andato per cercare questo





In realtà ho trovato ben altro.

Lì, di fronte a un palco nerd, con una presentatrice nerd coaudiuvata da un assistente nerd, un pubblico decisamente nerd ha assistito a un quiz nerd organizzato in modo nerdissimo, dove autori di fumetti dai trascorsi nerd si sono sfidati in una tenzone a tratti decisamente triste ma col fascino ammaliante di un videogioco 8-bit.
Diego Cajelli, Tito Faraci, Roberto Recchioni, Diego Zucchi, Micol Beltramini, Paola Barbato
La sfida, nonostante (o forse per merito de) l'atmosfera sfigatissima, è stata appassionante e avvincente, picchi di suspence sui manifesti minimali, Cajelli che rovina il gioco dei film con Tom Sizemore, e soprattutto un geekissimo flame a causa della kriptonite rosa. Comunque, pur avendo dominato fino alla fine, la coppia Cajelli-Faraci (gustosissimi i suoi aneddoti sui rasoi e pennelli da barba) cede all'assalto finale di Recchioni-Zucchi che si aggiudicano la gara lasciando a bocca asciutta il duo femminile Beltramini-Barbato, mai pienamente a fuoco.

In realtà alla mattina abbiamo fatto prima un giro nella casa degli orrori, ma l'avvenimento più saliente è che ho rischiato di prendere a cazzotti Freddy Krueger, 'sto cazzo di Wolverine mal riuscito.

Il pomeriggio è proseguito poi in contemplazione di un atleticissimo John Rambo che ci ha deliziato combattendo per cielo, aria, mare e quad.

Ma soprattutto, se a qualcuno capita di passare per Movieland, è assolutamente d'obbligo mettersi in coda per Magma 2, salire sul camion di quell'incosciente figlio di troia di Miguel, e lasciarsi trasportare attraverso un'umidissima terra di confine dove le leggi sulla sicurezza non esistono, il D.Lgs. 81/2008 è trattato come i tedeschi delle barzellette e attaccato allo specchietto del camion si può scorgere una foto di Miguel che s'incula il signor Beghelli salendo in bilico su una pila di manuali della 626, fumando, e senza scarpe antinfortunistiche!
No, no, se ti siedi al centro non ti bagni...Mavaffanculo!
In assoluto la giostra più imprevedibilmente pericolosa e divertente del mondo!

Moderatamente bagnati e soddisfatti ci avviamo verso l'ultima attrazione della giornata, sono le 17.30 e alle 18.00 il parco chiude ma c'è ancora tempo per l'U-571, tanto che mai potrà essere?
In fila comunque incrociamo Roberto Recchioni , si fanno due chiacchiere sulle ultime lezioni del corso di fumetto, si ipotizza l'idea di finire la serata a Gardaland e poi ci si infila sottocoperta nel ventre del sottomarino.
Adesso, immaginatevi di essere seduti sul serbatoio della moto di Valentino Rossi (mentre sta gareggiando al Mugello), immaginatevi poi che da dei tubi sulle pareti inizi a cadere una quantità d'acqua sufficiente a girare 50 video di Christina Aguilera e a soddisfare per almeno un anno il fabbisogno di un piccolo stato africano. Quindi ricapitolando: buio, acqua, rumore assordante, acqua, movimenti inconsulti dell'ambiente, instabilità, scivolamenti, un diluvio d'acqua che scende da ogni dove e poi acqua e aggiungerei acqua.
Roberto "Aquaman" Recchioni
Dire che ne siamo usciti fradici è un ingeneroso eufemismo.

E' stato probabilmente l'avvelenamento da cloro a indurci a salire in macchina gocciolanti e a dirigerci verso il parco di Prezzemolo per concludere la giornata.

Naturalmente quel che succede a Gardaland rimane a Gardaland!

Posso però dire che la fila per il Raptor è stata un'esperienza assolutamente traumatica e psichedelica, sia per me sia per la bambina di tre anni, troppo piccola per salire, che i genitori hanno abbandonato lungo il percorso con una ciotola di granita.

Il Raptor è comunque una figata di montagna russa, ti avvolge dolcemente con le sue evoluzioni e in quei 30 secondi ti dimentichi dell'allucinante ora che hai trascorso in coda. 

Il protagonista assoluto della serata e delle nostre vite da oggi all'avvenire è stato lui:

Grazie davvero a tutti per la piacevole giornata!

nodi e pettini

Che l'altro giorno sia morta una ragazza di 24 anni mi spiace.
Che sia successo durante un gioco erotico di legatura  praticando  lo shibari lo trovo antropologicamente interessante.
Che il Corriere nell'articolo scriva "L’atto istruttorio, che si terrà nel carcere di Regina Coeli, cercherà anche di sciogliere il nodo della contestazione formulata nei confronti dell’uomo..." non so se debba farmi sorridere o darmi da pensare.

9.9.11

Dampyr 137 e 138 - ovvero ritardi e ritorni


Quasi mi stavo dimenticando, e non che a qualcuno possa interessare. Ma due parole sulle ultime storie di Dampyr passate per l'edicola non vogliamo dirle?
Ché poi capita sempre che ti arriva qualcuno e ti fa " e Dampyr?". Eh, la classica risposta " a settembre, dopo le ferie" ormai non regge più, quindi scrivo.

Dampyr 137 - Gli implacabili.
Esordio fumettistico per Giovanni Eccher, prestato al fumetto dal cinema. E proprio in modo molto cinematografico scorrono le inquadrature dell'ottimo Maurizio Dotti. La storia c'è, i personaggi pure.
In grande spolvero il nostro trio di eroi ma soprattutto azzeccata la scelta dei comprimari: in una Bolivia arsa di sale spuntano niente meno che Butch Cassidy e Sundance Kid.
E per non farci mancare niente spunta addirittura un nuovo Maestro della Notte.
Cosa volere di più?

La verità, e qui entro in modalità spoiler, è che da un Dampyr vorremmo sempre che non finisse tutto lì, ci piace (mi piace) immaginare come verranno riutilizzate quelle pedine, quelle situazioni, quelle ambientazioni.
E quando tutto invece sembra chiudersi nell'arco di una sola storia, senza possibilità di ritorno, beh, è come un Natale senza panettone.

Non serve che lo dica che muoiono tutti vero?

Dampyr 138 - Valzer Cajun
Se volete sapere cosa significa Cajun andate qui. Se già lo sapete rimanete con me.
Non c'è molto di diverso da quanto scritto sopra da dire a parte che:
- questo Dampyr è scritto dal sempre immenso Diego Cajelli
- il ruolo del ritornante ai disegni stavolta è interpretato da Giuliano Piccininno
- il trio stavolta è un duo
- non c'è un Maestro della Notte ma un demone della Dimensione Nera
- i comprimari stavolta sono i cattivi

Per il resto la storia scorre concitata e ricca di sorprese. Ottima la regia.
Cajelli non perde colpi, alla faccia di chi lo etichetta soltanto come autore di storie tappabuchi.
Piacevole come sempre la cura e lo studio che si notano nei dettagli della sceneggiatura, la stessa meticolosità già espressa anche nella storia africana del Maxi Dampyr, di cui però non ho mai parlato.

Cosa cambia dal giudizio relativo alla storia precedente?
Beh, che il nostro bel demone tornerà, o quantomeno sappiamo che la porta (il varco) è rimasta socchiusa e questo fa sfrigolare la nostra (mia) voglia di continuità.
Finale, più che aperto.

Comunque il merito principale di quest'albo è che spulciando tra i vari link mi sono salvato un po' di ricette di cucina cajun.
Quindi prossimamente: la jambalaya, il gumbo e la crawfish pie.