23.7.15

L'ultimo post in cui avrei pensato di trovarti...


Quanto dovrebbe durare un commiato?

Nel 1834 il fisico inglese James Prescott Joule tentò di postulare il decorso più efficiente di un saluto d'addio. Molte delle equazioni che sviluppo in quel frangente furono poi riutilizzate dallo stesso quando nel 1840 definì le regole della conservazione dell'energia, ma quel che ci interessa è l'esito di quei suoi studi, che a prima vista potrebbero apparire addirittura bizzarri.

Joule infatti scoprì che il tempo è una variabile che non rientra in f(x). Questo significa che rispetto a esso il concetto di addio risulta un'invariante, e anzi, di per sé il commiato è espresso da una funzione nulla con un risibile quasi ovunque (misura di Lebesgue nulla, integrale zero).

Cosa significa questo? Che se avessi scritto un post di due righe, o di duemila, o addirittura niente, non avrebbe fatto differenza.
Significa solo che gli addii non esistono.

Mi piacerebbe dire che è da un po' di tempo che sto meditando su questo post, un po' che rimando. In realtà l'avevo proprio lasciato perdere/rsi.

E perché proprio adesso vi starete chiedendo?

Perché ieri ho visto Plutone.
L'ho visto è mi è sembrato un sasso liscio e tondo, di quelli levigati perfettamente da qualche torrente, di quelli che trovi a valle, a due passi dalla foce, come galeotti morti fuggendo a un passo dalla libertà.

Ieri ho visto Plutone e l'ho trovato profondamente inutile. Bellissimo e inutile.
Poi ho pensato che anche questo posto è un po' così. Ma con meno idrocarburi e con temperature decisamente più accettabili.

Avete mai pensato che quando si muore in realtà si continua a vivere senza soluzione di continuità?
Si chiamano universi paralleli e ne nasce uno ogni volta che qualcuno muore.
Così succede che abbiamo il mondo in cui viviamo e non ci accorgiamo di essere morti, e tutto intorno a noi rimane essenzialmente identico, e ovviamente gli altri continuano a morire ché tanto nascerà anche per loro un nuovo universo in cui non si sono resi conto di essere morti, e così in una crescita malthusiana senza un limite contro cui sbattere.
Ecco, quando muori e continui a vivere sei te stesso ma in realtà non sei più tu. E non provi più niente. Atarassia.

Non ne sono sicuro, ma forse tra oggi e quando ho iniziato a scrivere questo blog è successo.

C'è stato un tempo recente in cui sembrava l'unica cosa possibile. Dico, abbandonare in questo posto le scorie del mio essere me, condividere col cinismo del sopravvivente più che con la partecipazione dell'entusiasta.
Ora non è più così. Per tanti motivi che non ha senso riportare qui.
Tanto chi vuole o ha voluto, è già stato capacissimo di utilizzare l'indirizzo mail lì di fianco.

La verità, facendo un brutale riassunto, è che ho ancora tante storie da non raccontare e questo mi sembra proprio il momento perfetto per smettere di non non raccontarle.

Tanto ci sarà di sicuro un altro posto, un'altra stagione, un'altra deviazione dal percorso. Forse già c'è.
Ma non è più questo.

[evito la tristerrima sezione dei ringraziamenti anche perché, e questo è invece doveroso dirlo, il fine primario di internet (che, lo ricordo per i distratti, è SCOPARE!) non è stato assolutamente traguardato per il tramite di questo blog].

Addione!




1.7.15

...e celere tornerai!



Lo so, a volte mi si rimprovera di parlare troppo di fumetti, ma era addirittura dai tempi di "Sette anime bannate" che su questo blog non si parlava di Dylan Dog.

Il numero 346 si intitola ...e cenere tornerai e rappresenta il culmine di quella che è stata battezzata come Fase 2, la seconda fase del processo di rinnovamento della testata da parte della squadra capitanata da Roberto Recchioni.

[Attenzione: in base alla vostra sensibilità potrebbe contenere spoiler e tracce di frutta a guscio]

Dylan Dog è morto, questo è evidente, nell'ironia del contrappasso si è tramutato in uno di quegli zombie contro cui lottava nel primo episodio. Trent'anni fa.
Arranca nel suo incedere cadenzato, sempre uguale, perdendo pezzi di quel sé in putrefazione.
Un morto vivente.
Ecco, l'aver suddiviso questo nuovo percorso editoriale in fasi è probabilmente un esplicito richiamo all'elaborazione del lutto.

Negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione.
Le stazioni di questa Via Crucis in bianco e nero.

Negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione.
Che a conti fatti è anche ciò che succede in quest'albo.
Un Dylan afflitto da quell'inconcludente girotondo che in fondo è sempre stata la sua vita, non vuole accettare di perdere tutto quel niente che si è costruito attorno per darsi una parvenza di soppravvivenza.
Non lo vuole, e questo rifiuto si trasforma presto in rabbia. Verso Groucho, la vita, il sistema, il fato, verso ciò che è diventato il suo mondo e sé stesso.
Arrivando a perdere completamente la coscienza della propria persona, smarrire definitivamente un'identità già precaria, la somma delle proprie stratificazioni che si sgretola come argilla secca spazzata dal vento,  fino a essere solamente polvere sospesa in un raggio che filtra da qualche spiraglio.
Ed è lì, in quel microuniverso mutevole e inquieto che si rimescolano i ricordi, come in uno spazio quantistico in qui non valgono le leggi della fisica, in cui passato presente e futuro possono essere visti da tutte le angolazioni e nello stesso momento, cerca la consapevolezza di sé, o meglio di tutti quei sé che nel tempo il personaggio ha saputo essere. Personaggio.
È questa forse l'epifania di un istante,  il vortice metafumettistico che lo pone di fronte a ciò che effettivamente è: un personaggio che non può cambiare. E di fronte alla rassegnazione immota tipica di ogni depressione, l'unica via d'uscita è solamente il suicidio. Dylan che uccide sé stesso, non per resilienza o per scontata resurrezione, no, per assoluta necessità.

Ecco, rimane così solo l'accettazione, il "bentornato Dylan Dog", la fenice che risorge dalle proprie ceneri, il diverso ma uguale, rassegnazione, ineluttabilità o precisa volontà di cambiamento?

Ora, ammetto di aver sempre mal sopportato il biasimevole Dylan Dog di Paola Barbato, immaturo e piagnone, quello che si trascina con sé non so che peccato originale, un personaggio colpevole che sconta i propri torti, scritto (ma magari è solo la mia percezione) con un certo sadismo, quasi una sorta di rancore da contrapporre alla benevolenza sclaviana, quell'accondiscendenza maschile che tanto somiglia all'autoindulgenza.
E ammetto anche che le derive metafumettistiche mi affascinano sì, ma nella giusta dose e soprattutto nel giusto contesto (qualcuno ha già detto DYDPOOL???). Ché l'abbattimento della quarta parete a volte è solamente un crollo violento che alza inevitabilmente polvere fastidiosa e non altro.
Ah, ammetto anche che più che le storie "SU" Dylan preferisco quelle "DI" Dylan, ma meglio ancora gradisco le storie "CON" Dylan, quelle dove l'indagatore è solo il tramite per raccontarci altri personaggi, magari protagonisti subitanei di poche vignette, vite effimere tra una closure e l'altra, ma che sono sempre state a mio avviso il fulcro della narrazione dilandoghiana.

Ecco, fatte queste ammissioni, cosa resta di quest'albo?
Beh, di sicuro c'è lo spirito di andare oltre le dichiarazioni di intenti, quell'incitamento a osare che trova finalmente una realizzazione, c'è l'indeterminatezza che a suo modo spaura, la sensazione che tutto potrebbe concludersi in modo assolutamente inaspettato. C'è la sensazione che tutto potrebbe addirittura concludersi, e forse lo fa. In quell'attimo in cui Dylan incrocia gli inquisitori di Caccia alle streghe c'è un monito crudele che ci ricorda che non ci si deve adagiare sulla sicurezza che l'eroe ne esca sempre vincitore. Sempre vivo.

C'è una storia che paga un po' la sua collocazione, che sarebbe stata sicuramente più efficace più a ridosso de Il cuore degli uomini, ma che comunque spicca sia nella fluidità della sceneggiatura, nelle soluzioni dei vari passaggi, nelle citazioni, e soprattutto nella capacità dei fratelli Cestaro di materializzare graficamente tutta l'angoscia di cui sono pregne quelle pagine. Tutta l'irrimediabilità, l'inquietudine dovuta all'inevitabile, che per osmosi si rimpalla tra personaggio, autori, lettori.

E poi c'è Dylan, "disingannato ma non rinsavito". Che torna a essere sé stesso, col clarinetto da suonare a mani invertite, col galeone da non finire e Groucho che gli lancia la pistola. Eppure sarà un Dylan diverso, forse maturato, forse disilluso, forse meno eroe romantico. Come un Didimo Chierico (Dydimo!) a reincarnare una nuova proiezione di chi lo scrive, un personaggio nuovo che emerge dalla crisalide della sua avvenuta mutazione. La linea di demarcazione tra ciò che è stato e ciò che è.
Per dirci che ormai non è più tempo di ripensare a chi eravamo noi trent'anni fa, e come lo vivremmo se avessimo oggi tredici anni o come sarebbe stato se allora ne avessimo avuti quaranta.
Che non è più una questione di attese o di aspettative, ma solo di scelte.
Che dobbiamo solamente decidere se questo è il fumetto che vogliamo leggere, o altrimenti non leggerlo (o al limite leggerlo sapendo che non sarà mai ciò che vogliamo).
Insomma, è un Dylan del presente che si presenta.

E niente, a voi la scelta!


26.6.15

Sette anime bannate



Quando ho smesso di badare al blog stavo scrivendo una storia.
Cioè, scrivendo... avevo in testa una cosa su cui abbastanza casualmente prendevo appunti.
Ecco, io quando prendo appunti non è che sono proprio metodico. E nemmeno prolisso.
Anche se ho in mente mezza Divina Commedia già scritta, io mi annoto solo una frasetta sul notepad del telefono. A volte anche solo una parola chiave. Magari abbreviata.
È perché penso che poi me ne ricorderò, che basterà quel codice segreto per spalancare le porte dell'archivio in cui memorizzo gli sviluppi di tutte le mie idee.

Beh, non è così. Il mio telefono c'ha pagine e pagine di righe criptiche che qualcuno di nascosto inserisce, io non di sicuro dato che non so proprio a cosa si riferiscano.



Comunque, volevo scrivere 'sta cosa.
Anzi,  in realtà la prima idea era di creare un finto gruppo di facebook e lasciare che fossero i commenti a portare avanti la narrazione. Come se fosse un gruppo vero, magari privato ma in cui qualcuno era riuscito in qualche modo a entrare, un gruppo privato in cui non scriveva più nessuno ma che ora si poteva leggere.

Insomma, avrebbe dovuto essere il mio The Blair witch project riaggiornato al 2015 e senza tutta l'umidità a cui si espone un cineoperatore per girare nel bosco di notte.

La storia, per come ce l'avevo in testa parlava di troll, fan, lurker e hater. Animali mitologici di questo millennio digitalizzato.
O meglio, raccontava d'altro ma il vero scopo era quello di descrivere i diversi percorsi, le diverse esperienze che avevano portato un gruppo di persone a essere ciò che erano sui social. Magari cercando di dare una chiave interpretativa alle polemiche, gli odii da tastiera, le flame war, il cinismo, il sarcasmo mal riuscito. Perché essere i primi a commentare e scrivere inevitabimente qualcosa di fuori luogo? perché difendere a spada tratta sempre e comunque senza se e senza ma il proprio idolo? perché gli attacchi a prescindere, le falsità strumentali, le finte incomprensioni, l'ironia che non è ironia, l'offesa, il rancore?
Perché i silenzi?

Ecco, avrei voluto che alla fine un po' di risposte saltassero fuori. Spostando il fuoco della camera da presa al di là dello schermo, inquadrando la noia o la frustrazione, o le situazioni che sfuggono di mano, o la solitudine, o solamente l'essere una persona di merda. Avrei voluto questo, passare ai raggi x la foto del profilo per svelare il quadro cancellato che c'è sotto.



Il pretesto era Dylan Dog.
Perché? Perché quando avevo quattordici anni era il mio facebook. Tra quelle vignette venivano postati i link che correvo ad aprire in biblioteca. Qualche parola che non conoscevo tipo "panoplia", oppure un libro, un film, una leggenda, il nome di un posto, di un mostro, una canzone.

E poi perché basta farsi un giro sulla pagina del suddetto per trovarsi di fronte a un'istantanea di tutti quei caratteri che volevo appunto raccontare.
Si partiva parlando male di Dylan, magari il primo, quello che beveva birra e whisky, che ammazzava a sangue freddo, che aveva una barca nascosta lungo le sponde del Tamigi. Si iniziava così, con la più imponente battaglia di commenti che la rete avesse mai visto.
Bannato! Bannato! Bannato!
Bannato!

Si ritrovano in sei, con la voglia di continuare a scriversi, a dirsi, magari solo a perfezionare il loro metodo. È solo per un caso, un mi piace notato, un commento spalleggiato. Insomma, creano questo gruppo "Sette anime bannate".
E lì parlano. Di Dylan Dog soprattutto. Magari lasciando sfuggire qualcosa di sé tra le righe. Organizzando la prossima incursione, stendendo piani, riscrivendo sceneggiature come avrebbero dovuto davvero essere per l'albo perfetto. Anche litigando. Odiandosi o amandosi per quel che i loro caratteri li obbligano o gli concedono.

Poi c'è un lui che si scopre essere una lei, però lo veniamo a sapere solamente quando sparisce, cioè, lo svela uno degli altri, che è un hacker, un ragazzino hacker. A prima c'erano stati i commenti misteriosi di un profilo di Dylan che non era iscritto al gruppo, apparivano e poi venivano cancellati (ma c'è lo screenshot).
Ah, il fatto è che lei aveva raccontato una storia, pareva una cazzata a dire il vero, una di quelle cose che racconti intorno al fuoco con la lampada sotto al mento e poi urli all'improvviso. Ecco, parlava della prima copertina di DD, quella mai pubblicata, parlava del progetto, del team che l'ha portato avanti i primi anni, TIZI.ANOnimi si facevano chiamare così e nessuno sa chi fossero veramente. Ma Dylan l'hanno creato loro. Col whisky e tutto il resto.
Forse c'è una foto, una polaroid sbiadita, hanno i baffi finti di Groucho c'è anche una donna, e uno schizzo della copertina fatto a memoria, un vecchio computer che forse qualcuno è in grado di far funzionare, una registrazione rubata, e il sangue in casa, i vetri rotti, le vite che dal virtuale si sfracellano in caduta libera verso il reale, accorgendosi che non c'è più differenza. Poi che c'è quella vignetta che è la chiave di lettura di un codice da decifrare, la password per svelare lo scopo del progetto. Una cosa importante si direbbe, dato che c'è chi a distanza di trent'anni ancora non si fa scrupoli a uccidere.
Poi boh, ci sono loro dietro alle tastiere, chi coi piatti che strabordano dal lavandino, chi con la moquette perfetta e il parquet lucidissimo, chi sputa veleno sullo schermo col baby monitor che gracchia lì di fianco (gemelli...), e chi odia, odia di qua come di là.
Chi forse cambierà e chi è irrecuperabile, chi si scoprirà amico, innamorato, impaurito, buono, morto.

Appunti, e appunti, e appunti.
Per una storia che ho appena deciso di non scrivere. Me ne sto liberando. La rigurgito qui, sul fondo arrugginito dell'internet in modo da non portarmela più appresso. Mi occupava spazio, mi pesava e non mi servono pesi in questo momento. Taglio i fili di tutti quegli intrecci che avevo disegnato col pensiero, un ultimo sguardo commosso all'arredamento e chi s'è visto s'è visto.

Perché scriverlo direte voi?
Perché Sette anime bannate è un titolo figo che avrebbe dovuto essere il nome di questo blog.
Me lo sono tenuto lì pensando che prima o poi qualcuno l'avrebbe detto. E invece no, nessuno l'ha mai usato, e mi piaceva l'idea di dargli una data di nascita.
Oggi. Che è il mio compleanno.

E mi tolgo 'sto peso.

22.6.15

Pedico di famiglia



Io vengo da una famiglia. Quindi almeno stavolta parlo con un minimo di cognizione di causa.

Vengo da una famiglia, e ammetto che un po' di sforzo mi ci vuole per comprendere il come mai c'è gente che ne desidera una. Ma tant'è, non siamo tutti uguali: c'è chi si eccita facendo sesso coi cadaveri e c'è chi invece vuole sposarsi e avere dei figli.
Ovviamente massimo rispetto per tutti, anche se, come dire, quando fai sesso coi cadaveri non rischi di mettere al mondo il nuovo Hitler.

L'altro giorno a Roma c'è stato il Family Day, che è una manifestazione a favore della famiglia e contro l'ideologia del gender (qualsiasi cosa significhi), le adozioni gay (ma chi vuoi che se lo adotti un gay?), le altre famiglie che non sono famiglie (generalmente i culattoni, i negri anche se vengono coi barconi stavolta vanno bene perché fanno tanti figli naturali senza additivi gay).


A manifestare a favore della famiglia e del fare figli c'erano le suore.

Un grammo di buon esempio vale più di un quintale di parole [San Francesco di Sales]

E quelli che non sanno scrivere "Sì" con l'accento.




[ricordo che la disortografia è una malattia, anche se chi ne soffre non te lo scriverà mai...]

Comunque, erano tutti lì per dirsi che i loro figli sono minacciati dal fatto che gli omosessuali vorrebbero sposarsi. Tra di loro dico, non con i figli dei suddetti (cioè, se il figlio è gay magari anche sì. Lo sapevate che la quasi totalità dei gay ha genitori eterosessuali? E quindi adesso di chi è la colpa di questa fantomatica minaccia?)
E io mi chiedo, perché? Cioè, cosa succede in un matrimonio omosessuale che mette così a rischio l'integrità di 'sti poveri bambini nati dall'amore di una mamma femmina e di un papà maschio? (sì, è così. L'altro giorno in piazza c'erano 400.00 persone convinte che i figli nascano dall'amore di mamma e papà. E che vuoi dirgli a gente così? Che quando piove sono gli angeli che fanno pipì?)
Ai matrimoni omosessuali so per certo che usano i bambini rapiti dagli zingari per attaccare le paillettes ai cappelli a cilindro, e quando sono stremati li sacrificano su un altare a forma di glande e ne bevono il sangue per venerare Satana. Ecco perché i matrimoni gay sono così pericolosi ed è giusto vietarli.



Ah, e poi c'è il gender.
Il gender è quella cosa che vogliono insegnare ai bambini minorenni per traviare le loro menti minorenni e inculcargli la credenza che anche le femmine possono guidare il trattore e giocare a Call of Duty, mentre magari i maschi fanno da mangiare e guardano Violetta. Gli esempi più lampanti di questa depravazione sono Samantha Cristoforetti astronauta che ha l'acca nel nome e i capelli corti come le lesbian e Carlo Cracco che cucina con la barba e farcisce le patatine in sacchetto come quando si giocava a mamma casetta.

Ora, non vorrei dire una cosa troppo seria, ma chi combatte contro i diritti di qualcuno forse non è molto confidente che i propri ideali siano così solidi.
Forse quelli che si ergono paladini della famiglia sono gli stessi che lasciano i vecchi nelle case di riposo senza mai andarli a trovare.

Comunque, io non è che sono proprio a  favore della famiglia. Né del matrimonio, etero o gay che sia.
Penso che un frutto che rimane attaccato al ramo marcisce senza generare nulla, e credo che tutto questo affermare le proprie posizioni sia da una parte che dall'altra contribuisca solamente a distogliere l'attenzione, a sprecare energie sicuramente indirizzabili in maniera più efficace, magari a favore dei diritti individuali, dato che mi risulta che l'unica entità davvero naturale sia l'individuo (a parte i gemelli siamesi), tutto il resto è solamente un costrutto sociale che ha sicuramente ottime ragioni d'essere, ma che rimane un fenomeno passeggero.

Però boh, mi resta che non riesco a capire fino in fondo cos'è che davvero spaventa queste persone.

Vabbé, io non so se 'ste cose gliele ha dette davvero dio.
Però mi piacerebbe che un giorno trovassero qualche frammento di vangelo che spieghi come siano andate davvero le cose.
Cioè, immaginatevi il dio del vecchio testamento, quello che si era specializzato a mettere incinte le novantenni e a far nascere figli dalle bisnonne.
Ecco, arriva un giorno dagli angeli e gli fa:
"Oh, Gabriele c'ho in mente un'idea per un altro miracolo"
"Bene, sentiamo, in che casa di riposo mi mandi 'sto giro a fare l'annunciazione? no, no, no non dirmelo: mettiamo incinta una con l'alzheimer..."
"Macché alzheimer, asessuato di merda, voglio rivoluzionare il concetto di miracolo! Basta ventri grinzosi e pelli di cartavelina. Oggi, dopo 5 miliardi di anni, finalmente si cambia..."
"Mi hai convinto: sputa il piano!"
"Bene, senti qui: pensavo di mettere miracolosamente incinta una vergine di tredici anni! TA-DAAA!!!"
"..."
"Che?"
"No, no, interessante..."
"Dai, lo so che quando fai quella faccia c'è qualcosa. Dai, dimmi..."
"Va bene... Una tredicenne incinta? Ma sei serio???"
"Una tredicenne VERGINE incinta..."
"Sì, vergine... e io uso il sospensorio... Le tredicenni ormai sono tutte vergini e incinte... Ma cazzo, non la guardi MTV?"
"Quello di come è fatto il cibo?"
"Nooo, cazzo... le ragazzine pregnant...che miracolo vuoi che sia una puttanella che ha tenuto troppo a lungo la baguette in forno?"
"Quindi che consigli?"
"Uomini!"
"Che?"
"Uomini! Facciamo partorire due maschi. Una coppia omosessuale che avrà un figlio... figo no?"
"Uomini? Ma scusa, senza utero come fa uno a rimanere incinto? E poi da dove dovrebbe uscire il bambino?"
"Oh, sei tu quello dei miracoli! Se non è un evento straordinario questo... Cristo, sarai ricordato nei secoli dei secoli cazzo. Vedo già i titoli: Giuseppe e Mario, papà al quadrato!"
"Minchia mi piace! Hai ragione, facciamolo! Il primo maschio che partorisce... Sono un genio!!! Ma come mi vengono... un genio! No, questo dev'essere il miracolo più grande di tutti, altro che Giuseppe... altro che figlio dell'uomo. A Gabrié, 'sto figlio lo faccio io, il figlio di Dio: senti come suona bene! Il figlio di Dio. Mario me lo inculo io! (metaforicamente eh...) Vai, annuncia!"
"Volo..."
"Zeus, suka!!!"








18.6.15

Disconosci te stesso - "Il suicidio spiegato a mio figlio" di Maicol&Mirco


Di primo acchito, se almeno una volta nella vostra vita vi siete già suicidati, forse questo libro potrà sembrarvi addirittura ovvio.
Beh, se mi permettete di darvi un consiglio cercate di non fidarvi della prima impressione, non è quel tipo di libro no. E non per suo merito, non del tutto almeno. Cioè, è un libro che dal vostro punto di vista paga la disomogeneità di voler essere omogeneo.
Voi conoscete gli altri lavori di Maicol&Mirco e avete sempre percepito un filo conduttore anche in quei libri in cui le pagine sembravano completamente slegate l'una dall'altra, vignette singole che pur nella loro autoconsistenza non davano la percezione di una soluzione di continuità, ma anzi sembravano proprio le tessere sparse di un unico terrificante puzzle.

Poi capita che nella vostra curiosità necrotica di suicidi leggiate questo Il suicidio spiegato a mio figlio, e in questo caso invece cogliete a pieno il concept che abbraccia tutta la storia, eppure succede che non sia la stessa sensazione degli altri libri, come se le tessere fossero le stesse ma qualcuno le avesse incastrate a forza nella posizione sbagliata.
Sapete perché succede? Perché l'autore ha voluto farvi credere che ci sia una contrapposizione laddove in realtà non c'è.
Avete creduto ci fossero delle pagine che parlano di vivi e della pagine che parlano di morti, quando invece sono solo morti. Vi siete illusi che ci fosse una parte del libro vera e una falsa, mentre tutto è falso. Fogli rossi e fogli neri, e sono inevitabilmente bianchi.
È quel che succede quando si è morti, ci si avvolge in una coperta di manicheismo solo per convincersi dell'esistenza di un'alternativa. Facile fregarvi a voi defunti!

Per tutti gli altri invece, quelli che finora non ci hanno mai pensato, quelli che sono troppo giovani o troppo vecchi, quelli che ci hanno provato ma niente, quelli che sempre, quelli che da adolescente, quelli che sono stati salvati e hanno pensato che la salvezza fosse non essere salvati, quelli che non sono stati salvati e infatti sono ancora vivi, quelli che ogni mattina la prima cosa quando mi sveglio, quelli che è un reato, un delitto, un peccato, un'oscenità, uno scempio. Tutti quelli insomma che non si sono suicidati davvero, che quindi parlano solamente per ipotesi, per sentito dire.
Ecco, questo libro è per voi. Non tanto per indurvi o convincervi, né tantomeno per spiegarvi come si dovrebbe fare. Non è didattica o manualistica, non vi dice il perché o il come o il quando: vi indica il quanto!

La storia, che è dentro una storia, che è dentro una storia, è il bugiardino in cui verificare il dosaggio di suicidio che dovremmo assumere nella nostra esistenza per vivere (morire?) meglio.
Incroci gli assi della tabellina, età, peso, altezza, libri letti, amori, sorrisi, delusioni, e ottieni la tua posologia personalizzata, il percentile aureo da assumere ogni giorno per prendere quotidianamente coscienza di ciò che siamo, dell'effimera consistenza del nostro arco vitale.

Vi spiega quanto dovreste suicidarvi questo libro. Ad alcuni forse dirà di farlo completamente e subito, ad altri magari spiegherà che non sono pronti, che non sono proprio fatti per suicidarsi nemmeno un pochettino, ad altri ancora darà la proporzione esatta, la misura di quanto spegnersi per sgravarsi dai rimpianti del fine vita, per inclinare il buffer delle angosce che si accumulano come corrente elettrostatica generata dallo sfregarci la vita addosso.
Dicono che in punto di morte i più grossi rammarichi siano legati al non aver vissuto come si voleva, all'aver concesso troppo al lavoro, al non aver espresso i propri sentimenti, al non essere stato felice.

Ecco, parcellizzare le dosi di suicidio ci consente di serializzare i punti di morte, ci dà consapevolezza, ci lascia il tempo di riflettere sulle nostre mancanze, fino all'estrema conseguenza di decidere finalmente di noi e per noi, senza ingannarsi nel placebo del vivere, senza remore, ineluttabilità, impotenza.

E, come si diceva, quest'opera non ci spiega tanto il perché o il come, ma proprio il quanto. Un punto di vista nuovo, finalmente onesto, su un fenomeno che nei secoli è stato quantomeno bistrattato, messo ingiustamente sul banco degli imputati da un'etica ipocrita incapace di mediare le effettive necessità umane, una filosofia ebbra di "conosci te stesso" in grado solamente di puntare il dito contro il disconoscere sé stesso, un atto di condanna a precedere qualsiasi processo.

Se siete ancora vivi dovreste leggerlo.


12.6.15

Ecomostri (legioni a statuto speciale)


Ha ragione Umberto Eco, internet ha dato in mano un megafono a legioni di imbecilli!

Cioè, finché erano chiacchiere da bar passi anche, ma oggi, nel 2015, con l'interconnessione globale, scrivo in Islanda e mi leggono in tempo reale in Nuova Zelanda, con tutta la conoscenza globale disponibile a chiunque abbia la pazienza di mettere due righe di ricerca nella barra di Google.
È davvero incredibile, anzi, improponibile che nonostante tutte le possibilità e i mezzi che ci sono per informarsi, 'sta gente passi il tempo sui social a sentenziare cazzate.

Figuratevi che l'altro giorno c'era uno su Facebook che insisteva su questa cosa delle scie chimiche. Oh, convinto di avere ragione! Continuava a dire che non esistono, che sono tutte cazzate, che sono le scie di condensa degli aerei. Capite con che elementi ho a che fare io ogni giorno?
Questo è quello che ha prodotto internet: pecore belanti senza nessuno spirito critico, che ripetono la lezioncina che gli è stata inculcata da chi ha fatto loro il lavaggio del cervello.

Al che io inizio a dargli dei dati scientifici sull'impossibilità di formazione della condensa ad altezze sotto gli 8000 metri con un'umidità inferiore al 70%, gli chiedo se nelle enciclopedie di cinquant'anni fa per caso parlavano di scie di condensazione, gli linko anche articoli interessanti sul tema, e questo come mi risponde?
Solo per farvi capire il livello di questi imbecilli (l'ha detto Eco!), mi fa: ma allora perché non le fanno invisibili?
E che vuoi rispondergli? Gli fai una carezza sulla testa e gli dici di ritornare al calduccio della sua coperta di Linus di disinformazione.

E quell'altro? Quello che continuava a rompermi le palle perché diceva che quei cazzo di extracomunitari dei Rom sono solo lo 0.2% della popolazione. Che più della metà ha la cittadinanza italiana, quindi anche se gli dici torna a casa tua questo già c'è.
Ma 'sta gente lo mette il naso fuori di casa? Questi sono dappertutto! Li portano coi barconi per depredarci.
Ché 'sti imbecilli (lo ha detto Eco!) appena gli dici "e allora portateli a casa te!", partono con la solita retorica populista dei fondi dell'Unione Europea, e i rifugiati, la fame, le guerre, l'Africa... Ma cazzo, la facciamo apposta la guerra lì in modo di non farla qui!
Che, non so se l'avete notato, i clandestini stanno diventando così pericolosi che fra un po' ruberanno più degli zingari (cosa già difficile visto che i nomadi con i loro trucchi hanno praticamente annullato la minaccia degli albanesi, che tra l'altro avevano annichilito completamente il pericolo della razza terrona che da sempre incombeva sulle nostre case nordiche [e poi hanno il coraggio di dire che siamo noi che ci facciamo propinare sempre un obbiettivo differente, un qualcuno a cui dare la colpa della nostra sfortuna o incapacità. Imbecilli!).

Io davvero non capisco, ci sono persone intelligenti che ancora hanno un minimo di raziocinio (ne conosco molte tra i miei amici) che ogni giorno si affannano a condividere il pericolo che incombe, leggono i titoli, studiano, scrivono post su post per aiutare la gente ad aprire gli occhi, e tutto quel che ottengono sono lo scherno e la derisione da parte di questi leoni da tastiera.
Gli abbracci dei Gianni Morandi, le puntualizzazioni non richieste dei soliti detentori della verità, e l'elettolisi, e la termodinamica, e le leggi della chimica, e la costituzione, e i gay non fanno schifo (che boh, voi mi potrete dire, e sono d'accordo, che un gattino malato mica fa schifo anzi, però a mio avviso sono malattie diverse), che in natura non esiste la natura, che per la ruspa serve il patentino MMT e la patente C a seconda delle dimensioni (della ruspa, perché se era a seconda delle dimensioni del pene del nostro Capitano Matteo S., ci voleva la patente C++).

Io pensavo che internet fosse un'opportunita, il mezzo definitivo per la circolazione delle idee e della verità, il grimaldello con cui avremmo finalmente scardinato questo sistema che il NWO ci sta imponendo. Ci credevo davvero. E invece, guardale lì, legioni di imbecilli a scrivere che non è vero, a dare soldi di click-baiting ai siti di debunking, a bersi qualunque cazzata pur di non accettare che la verità a volte è ben più semplice di quel che è, che non basta dire in qualche post che i rettiliani non si stanno impadronendo della nostra civiltà perché magicamente i rettiliani scompaiano.
Davvero, tanta ingenuità a volte mi sorprende, da troppo tempo tutti a guardare la luna e si sono ineluttabilmente persi di vista il dito.

Ma poi penso che forse ha proprio ragione Umberto Eco, che internet ha dato voce a legioni di imbecilli. E allora niente, almeno ho la fortuna di non essere uno di loro.

Spero nemmeno voi.




3.6.15

Dì vani e dì vani (da piccolo saltavo i se fossi per lungo)



A cosa pensa un assassino quanto torna sul luogo del delitto?
Forse solo che è un luogo comune.

Ecco, questo invece è un luogo non comune, scomunicato. Non tanto nell'assenza imperterrita di sacralità, ma piuttosto nell'evidente mancanza di comunicazione.
Cioè, magari qualcuno se n'è anche accorto che qui non sta scrivendo più nessuno.

Infatti sono qui solo per dire che, se tutto è andato per il verso giusto, la barra lì sopra dovrebbe avvisarvi di quella roba dei cookie di cui parlano tutti su internet, chiedervi gentilmente l'autorizzazione e mandarvi a un link dove viene spiegato tutto per bene dal signor Google.

Fosse per me potreste anche evitare di passare di qui, ché la verità è che non mi interessa avere testimoni, non ho lasciti da condividere né necessità d'essere ammirato, o compiaciuto, e nemmeno detestato.

Comunque, sappiate che il vostro browser non è così candido come vorrebbe darvi a sembrare. Non è vostro amico. È una puttana che invece di vendere sé stessa mercifica la vostra identità. Do ut des, sinallagma. Non c'è niente di male, ma dovreste saperlo, cioé avreste dovuto saperlo già da prima che ve lo dicessi io poche righe fa, è l'essenza di questo nuovo secolo.

Volete un consiglio? Regalatevi delle consapevolezze. cercate di capire come funzionano le cose, perché funzionano. Vale per tutto: dal bicchiere d'acqua sulla vostra tavola alle ruspe che inseguono i romanì.

Fatto sta che adesso non posso scrivere più.
È che questo blog l'ho sempre scritto da un angolo del divano che avevo a Padova, come se fossi rannicchiato all'interno di un punto di fuga di una prospettiva spalancata a 360°, come se fossi protetto da quella tela ruvida, convinto che coprendo gli occhi nessuno mi vedesse, come se fossi assolto per il solo fatto di scrivere.

Ecco, forse è solo arrivato il momento di saltare i se fossi.

Quindi niente. Per ora leggo libri e fotografo cose che trovo abbandonate per strada, poi magari un giorno scriverò un post in cui ringrazierò tutti per questa esperienza incredibile, addio e grazie al cazzo ché qui ho fatto tutto da solo, e farò la lista dei nomi, e a quella dirò che sei una persona magnifica continua così, e a quella che se mi fossi accorto prima di quel diastema magari ci provavo, e spiattellerò giù la lista dei titoli di tutti i post che non ho pubblicato e anche tutte le parole in dialetto che mi piacciono, tipo sbacio o dopodisnà.

Oppure l'inverso.

Ricordatevi i cookie!


14.2.15

Papa don't breach


15.01.2015 - Papa Francesco: "Se offendi mia mamma aspettati un pugno"

04.02.2015 - Papa Francesco: "Va bene picchiare un po' i figli, ma mai in faccia per non avvilirli"

07.02.2015 - Papa Francesco: "Chi dice che non va a messa perché è stanco, è uno scemo"

22.02.2015 - Papa Francesco: "Gesù ha usato la frusta nel tempio, ben prima di Christian Grey"

18.03.2015 - Papa Francesco: "Usare il crocifisso come arma con cui colpire chi ci offende non è peccato, perché santifichiamo la forza del Signore e il suo sacrificio di sangue"

26.06.2015 - Papa Francesco: "Non dico che le bombe siano giuste, ma una cosa che arriva dal cielo può davvero essere sbagliata?"

30.06.2015 - Papa Francesco: "Siamo fatti dell'80% di liquidi, se ti infilo un coltello e sanguini è solo il miracolo di Dio e della creazione"

15.10.2015 - Papa Francesco: "'sta mano pò esse fero o pò esse acciaio temperato..."

21.04.2016 - Papa Francesco: "Quando stasera tornerete a casa, date un calcio sui denti ai vostri figli e dite loro che quello è il 43 e mezzo del Papa"

18.12.2016 - Papa Francesco: "Fra poco è Natale e ricordo a tutti il sacramento sacro della confessione. Un bravo cristiano dovrebbe confessare almeno un delitto in vita sua, al limite almeno un pestaggio con prognosi riservata"

17.03.2019 - Papa Francesco: "Ho chiesto di far aggiungere lo stato del Vaticano nel Risiko. Voglio fare il culo alla Kamchatka!"

18.03.2019 - Papa Francesco: "Dio è con noi. E gli conviene, altrimenti gli rompo quel cazzo di triangolo!"

21.03.2019 - Papa Francesco: "La NATO non ha capito che qui nello Stato Pontificio comando io, stamattina ho deciso che a est confiniamo con la Corea e così sarà. A Putin ora gli spiego in quanti modi so usare un rosario..."

01.04.2019 - Papa Francesco: "L'abilità di distruggere un pianeta è insignificante in confronto alla potenza della Forza."




7.2.15

Mister Ghost will see you now (Piange il telefonino)


Che quando mi è venuto in mente di parlare del nuovo Dylan Dog, ho pensato che avevo voglia di fare una considerazione seria. Una considerazione da uno CHE LEGGE DYLAN DOG DAL 1989 SENZA INTERRUZIONI... etc etc etc.

Poi in effetti c'ho ragionato su e mi sono accorto che mi sarebbe venuto meglio un post scemo, di quelli farciti con cazzatine che strappano forse un sorriso e morta lì, missione compiuta.
Di quelle robe tipo che John Ghost c'ha lo stesso guardaroba di Christian Grey




oppure le copertine modificate che fanno sempre tanto ridere



Quando poi ho iniziato a ragionare sullo yaoi con protagonisti Dyd e JG, ho capito che era giunto il momento di fermarsi.

Com'è quindi questo Dylan Dog numero 341 "Al servizio del caos"?
Beh, innanzitutto è un albo che dal canto suo tenta di essere seminale: il manifesto con cui il curatore rielabora i canoni del "suo" Dylan Dog, l'infografica con cui Roberto Recchioni ci spiega il suo punto di vista sul personaggio, gli elementi di base che ne ridefiniscono la narrazione, i punti di contatto con l'interpretazione sclaviana dei famigerati primi 100 numeri,  gli ingredienti che il curatore dispone in dispensa con l'invito agli altri sceneggiatori di riusarli per le proprie ricette. (E ne approfitta per fissare l'attuale presente di Dylan, liberandolo da quell'eterno 1990 in cui era rimasto intrappolato).

È poi, quest'albo, un pretesto per presentare un nuovo personaggio che ricorrerà nella serie. Dotato di un'intelligenza fuori dal comune e con a disposizione una finestra spalancata sullo scibile umano. Raffinato ed elegante, sarà probabilmente un antagonista sui generis, cinico ma accomodante, una di quelle figure ambigue che spesso diventano l'unico aiuto per il protagonista, in un rapporto complicato e spesso conflittuale, eppure capace di generare un legame addirittura morboso. È un telefono, un Ghost9000 di nuova generazione dotato di un'intelligenza artificiale di nome IRMA, dal design che perverte la sezione aurea e dal fastidioso potere di costringere la gente ad ammazzare per averlo (a meno che la magia nera non sia a termine).



Ah, e poi c'è John Ghost. Uno che fa l'agente del caos e che, per carità, è sicuramente un personaggio interessante. Ma si trova decisamente in una posizione win-win. Cioè, con un po' di fantasia e di eloquenza risulta abbastanza semplice dimostrare la correlazione tra la farfalla che batte le ali in Giappone e le melanzane alla parmigiana che mi si sono inspiegabilmente bruciate l'altra sera.
Come dice il cotonatissimo Dylan Dog del numero 12 (quello che cita Terminator)


A parte questo, il biondo e spietato affarista si appresta a essere una variabile nascosta che tenderà a palesarsi senza uno schema preciso  percorrendo quella sfumatura di continuity, un po' come quel Xabaras dei primi numeri che lascia a Inverary i suoi appunti sul mesmerismo o fa il programmatore free-lance.


Cos'altro c'è in questo Dylan?
C'è non tanto una critica, quanto uno smascheramento della società moderna, l'idea che oltre all'essere vittime siamo altresì, se non colpevoli, quantomeno collusi. Ci sono dei disegni al di fuorì dei soliti schemi, fuori gabbia, pregevoli addirittura in alcune prospettive, c'è l'ignoto, ci sono cose che succedono senza un senso apparente, c'è una profusione di citazioni tanto per rimarcare il concetto del ritorno alle origini, fin troppo ammiccanti forse. Cioè, la sensazione che avuto io è che fossero non tanto fuori luogo ma proprio fuori tempo, come se appartenessero a un modo d'essere di un'altra epoca, quella senza internet sul telefonino, senza i zero gradi di separazione dalla conoscenza infinita, senza gli Zerocalcare, gli spoiler, l'hype.
O probabilmente è solo che preferivo quegli anni in cui le citazioni non le coglievo, in cui si leggeva con ingenuità senza alcun parametro, in cui è sempre stata meglio una storia copiata di cui non conoscevi il riferimento che una originale che ti lasciava indifferente.

Ah, c'è una cosa poi, probabilmente la più importante. Un particolare che rende davvero irrilevante tutto il resto, siano difetti, pregi, imprecisioni, inglesate (che se dico americanate so già che non va bene), tradimenti dell'originale e questo non è Dylan.
C'è un'idea, che è un'idea di fondo, il principio su cui a mio avviso si sta cercando di costruire questa nuova vita del personaggio, la dichiarazione d'intenti che appare sul manifesto se lo passi sopra una fiamma di candela. Il vero link con quell'antieroe degli anni '80 che si dichiarava astemio ma passava dalla birra al whisky, che soffriva il mal di mare ma possedeva una barca, che distruggeva irrimediabilmente il maggiolone per poi riguidarlo il giorno dopo, che moriva, saltava in direzioni parallele, volava con la macchina e che alla fine di casi non è che ne risolvesse poi tanti e quando capitava era spesso una botta di culo.
È la sensazione che tutto possa accadere, o meglio che possa accadere di tutto. L'esplicita volontà di non volere più dare certezza al lettore, la frantumazione del pilota automatico narrativo a favore di una disorientante sincronicità junghiana.
Per quel che mi riguarda è una dichiarazione d'intenti immensa e già di per sé appagante. E tanto mi basta.

Poi si sa, il diavolo sta nei dettagli. Un qualcosa che non va lo troveremo sempre, o perché non ce lo aspettavamo, o perché ce lo aspettavamo proprio, o lo pensavamo diverso. Per dire, a me nella liquidità di situazioni di questo numero è mancata una cosa a cui ricordo di essere sempre stato affezionato: quel modo di legare i cambi di scena facendo iniziare il primo baloon di una pagina con l'ultima parola non detta da un altro personaggio nella pagina precedente. Ecco, per me Dylan Dog è questo, se non mi metti 'sta cosa stai tradendo il simulacro di quella figura primigenia, lo stampo iniziale da cui dovrebbe derivare ogni numero.
Per me. Per qualcuno è Roi, per altri lo splatter, Bloch, i mostri, le poesie. Per altri basta che ricordi di essere vegetariano. Insomma, Dylan Dog non esiste. E siamo tutti allenatori.
Ognuno ha il suo, ognuno un'idea che non capisce perché non venga realizzata, un titolo, una storia, un progetto. Io qualche giorno fa ho avuto un'intuizione fighissima, che a realizzarla verrebbe davvero un qualcosa di sensazionale. Ora son qui comodo che aspetto che qualcun altro abbia la mia stessa illuminazione, per vederla finalmente realizzata.

E niente, volevo parlare di questo Dylan Dog, fare una considerazione di quelle che non servono a nessuno.
Spero di esserci riuscito.

(ah, vi ho risparmato la foto sulla perversione della proporzione aurea)

2.2.15

La teoria del tutto e del contrario di tutto


Rieccomi qui. Tanto ogni post(o) ormai è luogo del delitto, vale la pena di ricominciare da dove è iniziato.
Io mi sono fermato il 7 di gennaio, dopo quella cosa di Charlie Hebdo. Stavo per schiacciare il bottone "pubblica" su una cosa che avevo appena scritto. Titolo: Non avrai altro dio all'infuori di He-Man. Per fare il figo potrei dire che nemmeno mi ricordo di cosa parlava, in realtà me lo ricordo bene ma non lo dirò.
Comunque, quel giorno il 7 gennaio 2015 sono morte nel mondo più di 100.000 persone.
Gli omicidi, se andiamo a vedere le medie statistiche, sono stati sopra il migliaio.
Cioè, se andassimo ad analizzare solamente i numeri, beh, quei cazzo di disegnatori non sarebbero nemmeno da considerare morti.
Irrisori.

Eppure. Eppure boh.
Forse avevo ancora qualche speranza nella gente, di sicuro non sapevo di averne ma evidentemente è stato quello. Credo si sia spezzata definitivamente quella membrana che preservava quello spicciolo di fiducia nell'umanità, l'imene (He-Man è!) che lacerandosi ha sanguinato quell'ultima aspettativa nei confronti del mondo.

A me di dio non interessa. Non dico nemmeno che non esiste, per quel che mi riguarda potrebbe anche esistere ma rimarrebbe comunque al di fuori della mia comprensione e probabilmente anche del mio interesse. Se ci fosse un dio, o una qualche entità equivalente, sarebbe davvero inconcepibile per noi, inutile stare qui a parlarne.
Infatti mi concentro sulla gente. Cioè, io non sopporto chi prega. Mi spaventa. Davvero, vedo la gente pregare e provo un brivido. Quel loro affidarsi, quel fastidioso deresponsabilizzarsi e non ultimo quell'ipocrita rilettura degli accadimenti in funzione delle proprie preghiere. Non so se ha un nome, forse oratiofobia.

E ancora di più mi spaventa chi è talmente stupido da pensare che dio (a voler credere che ci sia) possa essere offeso dall'uomo.
Cioè, sei assolutamente convinto che esista un qualcosa di talmente mistico e potente da aver creato con un solo gesto questo


 e questo


e questo


e questo


e questo

e davvero credi che se dico, che so, che si fa fare i pompini dalle marmotte lui possa offendersi?

E ancora: ma davvero l'essere più infinito e onnipotente, il signore, colui che ha creato tutte le cose visibili e invisibili, che ha fatto e rifatto tutto il cazzo che gli è venuto in mente con tempo, materia, vita, morte, ha bisogno di essere difeso da due coglioni col kalashnikov? o dal papa pugile? o dalla società, dalla legge, dal buon gusto, dall'etica?
Esiste davvero un cazzo di assoluto muto celeste che si chiude in cameretta a soffocare il pianto sul cuscino perché un disegnatore ha immortalato uno dei suoi sedicenti profeti in atteggiamenti moralmente equivoci?

Ovvio che no. Così come è ovvio che c'è chi se ne approfitta.
Sinceramente non mi dispiacerebbe se la gente la smettesse di ammazzarsi, ma se proprio deve farlo preferirei che lo facesse senza l'ipocrisia di un mandato divino. Dite che vi siete rotti il cazzo di popoli che vengono a fare la guerra a casa vostra, dite che vi sentite sfruttati, affamati, dite che 'sto mondo è disumano, ingiusto, che morite per fare gli smartphone di qualcun altro, che i Mori erano meglio, che i Babilonesi erano molto meglio, che lì c'eravate prima voi, dite che vi hanno ammazzato i figli, i padri, la libertà.
Dite che siete i buoni, che sono i cattivi, che siete i cattivi, il male, il bene, che odiate o che lo fate per amore.
Ma per un dio, per un profeta, per una religione, vi prego chiederei proprio di no.

Non sono proprio uno da religioni. Nemmeno da quelle finte che poi va a finire che rischi comunque di credere in qualcosa. Nemmeno da fede nella scienza. Amo le ipotesi plausibili, i rasoi di Occam, ma anche le cose inaspettate, perfino quelle inspiegabili a patto che restino tali.
C'è una cosa però nel pastafarianesimo, per dire, che mi ha sempre intrigato: il Mostro di Spaghetti Volante.


Avete presente quelle robe su dio che crea l'uomo a sua immagine e somiglianza?
È che alla fine, secondo me, il Mostro di Spaghetti Volante rappresenta proprio questo ma al contrario.

Sì, siamo fatti così. E per pensare ci basta questo, il resto è coreografia...

Siamo noi dio!
Noi, cervello, nervi, pensiero, carne, ossa, liquidi.
Noi stabiliamo chi vive e come. Magari non siamo onnipotenti ma siamo comunque caricati della responsabilità più grande, quella di decidere, di scegliere. Non c'è chi può farlo al posto nostro, c'è il caso, ci sono le cose che succedono, ma siamo noi che guidiamo le nostre azioni, noi quelli da pregare, noi che intercediamo, benediamo, noi finiti e potenti, in cielo e in terra, nei mari, nello spazio e ovunque un'arma possa essere definitiva.

Oggi è il giorno della marmotta.
Significa che questo post lo riscriverò ogni giorno.
Lo rileggerò ogni giorno e mi ci ritroverò d'accordo.

Buon giorno della marmotta.

2.1.15

L'ultimo post del 2015



Non mi aspettavo che questo sarebbe stato l'ultimo post del 2015.
Davvero, non ero pronto.
Non so se sia perché quest'anno è arrivato davvero in fretta, forse mi sono distratto io, forse ero solamente disattento. Mi capita. C'è un aneddoto divertente sulla mia distrazione: un giorno ho cercato per tutto il giorno gli occhiali, cioè ho ribaltato casa perché ero convinto di averli lasciati in un posto, poi in un altro, poi un altro ancora e niente, non li trovavo. Allora ho chiesto a mia moglie e lei sorridendo e indicandomi il naso mi fa: "ma tu non hai mai portato gli occhiali!", e allora ho pensato: "ma io non sono sposato!". Ecco, cercando gli occhiali ero finito in una realtà parallela dove non sono mai diventato miope.

Comunque, durante il 2014 ho praticamente smesso di scrivere questo blog. Le motivazioni sono diverse, ma principalmente è perché ho rinunciato a salvarmi. Avete presente quando i vecchi elefanti sentono che è giunto il momento e si allontanano dal branco per andare a morire in solitudine?
Ecco, così ma con la differenza che gli elefanti sono vegetariani.

Ogni tanto avrei voluto fare cose, lo ammetto. Tipo riscrivere le poesie di Neruda.

Voglio fare con te
ciò che l'autunno fa coi ciliegi.

Oppure parlare di Gesù.
Gesù è un personaggio fantastico di cui non sono riuscito a parlare abbastanza nel 2014.
Aveva l'ombelico? Nutrirsi del corpo di Cristo è un simbolismo zombi? Cosa diventa l'ostia dopo la digestione?
Di domande a cui rispondere ce ne sarebbero a iosa. Quel che più mi ha interessato in questo 2014 è stata però la rappresentazione del volto di Gesù. Cioè, e se in realtà la Sindone fosse un selfie?
Comunque uno dei più grandi miracoli di Gesù è stato quello di riuscire a farsi un selfie con le mani inchiodate, e soprattutto con un Nokia 3310.

Per gli scettici, la datazione al C-14 colloca il Nokia 3310 tra il 70 a.C. e il 135 d.C.

Altra cosa di cui non sono riuscito a parlare abbastanza sono i fumetti.
Per dire, mi sarebbe piaciuto fare un post che parlasse degli effetti di Zerocalcare sul fumetto italiano.
È come con Gomorra no, che tutti poi iniziano a dire du fritur e sta senz pensier.
Zerocalcare fa i fumetti che vendono, va da sé che per tentare di vendere come lui si cerchi di imitarne lo stile e le caratteristiche.
Che so
oppure Dylan Dog con Mater Morbi interpretata dalla bella e provocante Miss Dronio.

E come queste tante altre.
Tipo il post su come dimagrire senza mangiare, oppure degli inutili consigli per il nuovo anno.
Nella salsa rosa non ci mettete il peltro, le bici meglio lavarle nei giorni pari o per rendere più morbido il bucato cucinare degli spinaci nella stessa stanza.

Ma perché?
Gli elefanti non hanno il pollice opponibile, si siedono dalla parte del torto senza problemi, e quando se ne vogliono morire prendono la loro strada e se ne vanno per i cazzi loro.

E niente, ora  ci penso.