27.7.11

John Doe n. 10 - ovvero una quiete inquietante

 [Avvertenze-Sta per iniziare una lunga inutile introduzione: per risparmiarsela far scorrere la pagina fino a quando la nebbia vi indicherà che siamo in zona recensione]

Qualche giorno fa stavo chiedendo cosa avessero ancora da dare i fumetti al mondo di oggi..

Cioè, perché dovremmo ritenerlo ancora uno strumento valido per raccontare delle storie?
In fin dei conti, con le tecnologie in uso, un film ormai può mostrarci in modo realistico qualunque parto, anche il più astruso, della nostra immaginazione.

Quella rappresentazione che, fino a qualche anno fa, sarebbe risultata ridicola e impacciata, a oggi è diventata talmente perfetta da rendere addirittura faticoso distinguere ciò che è vero da ciò che è artificioso.

Un tempo certe storie potevano soltanto essere immaginate.
Immaginate e disegnate.

Oggi no.

E allora perché?
Perché un fumetto che ci mostra due giganti, un uomo e un robot, che combattono tra i palazzi di una città, con gli omini spaventati che fuggono schivando le macchine scagliate dai due, vale la pena di essere letto?
Perché non sarebbe meglio un film?
Insomma, alla fine sono passati i tempi dei pupazzoni con la cerniera dietro...

E perché leggere una storia così?
Una bella storia in cui il protagonista interagisce con gli autori? 
Uscendo dallo schermo della tv, del pc, sbucando soffocante dai fogli dattiloscritti, dal fax, oppure insinuandosi solamente tra i pensieri di chi lo immagina, possedendo chi gli dà vita e diventando esso stesso il suo creatore, in un effetto Droste talmente ubriacante da coinvolgere anche il lettore oltre che i due succitati attori?
eh?
In effetti lo hanno già fatto no? 
Sì che l'hanno già fatto!
Film, cartoni animati, opere teatrali… 
Cosa potranno mai aggiungere quelle pagine di carta disegnata a tutto ciò?

Non me la sono mica dato una risposta, ma un pensiero l’ho avuto.
C’è un’intimità nascosta nella lettura di un fumetto che non riesco a scovare nelle altre forme di espressione, chiamiamole non-immaginifiche (il senso è che un libro lo leggi e immagini, un fumetto o un film li guardi e qualcuno ha immaginato per te) [ci sarà sicuramente un nome ma mentre sto scrivendo sono in macchina e non ho un collegamento, e quindi va bene così].

Quelle due ali aperte di fronte agli occhi sono il paravento che ti nasconde da tutto il resto del mondo. Lì dietro sei solo tu.
Le tue impressioni, i tuoi pensieri, le tue perplessità.

Perché un fumetto si legge in solitaria. E in quel silenzio tu guardi loro e loro guardano te.

Sì, lo so. Anche un film posso guardarmelo da solo.
Ma c’è quell’assenza di contatto, quella mancanza di fisicità che sterilizza la trasmissione di un certo tipo di informazioni emozionali.

L‘ho detto, è solo un pensiero. Ma ci sono delle occasioni in cui un fumetto riesce a sfondare le pareti della fiducia e, mentre abbassi  la guardia, ti restituisce come dei cazzotti le emozioni che non gli avevi affidato.
E' in quel momento che ti rendi conto che non esiste un altro metodo per darti quella sensazione.
L'unicità si nasconde in ciò che ti toglie più ancora che in quel che ti dà.

Nebbia! Da qui parte la recensione...(qualcuno potrebbe trovare alcune affermazioni degli spoiler)
Mentre leggevo questo John Doe numero 10 ( 88 della vecchia datazione) ammetto che ho avuto un momento di sconforto.
Sfogliavo le pagine e pensavo: no, ancora, di nuovo, e le alte sfere e le donne che non ha rispettato e quanti amori amori buttati e che inetto che sei John e combatto che sono Dio e sono il più forte e ho inventato tutto io e io so' John Doe e non me dovete cacà er cazzo che anche se sembra che me l'hanno messa in culo poi so' io che gliela metto che il Golden Boy cade e se rialza e ricade e se rialza. 
Insomma, pur con l'ansia di saper dove mi volesse portare il buon Bartoli, la sensazione era quella di un altro numero che si stava appiattendo sotto il peso di sé stesso.

Tra l'altro, i disegni di Luca Genovese (che, sia ben chiaro, ho sempre ammirato) pur essendo incisivi e di carattere, erano così sporchi da rendere difficile la lettura complessiva delle varie tavole. 
Per i miei gusti avrei preferito un tratto più pulito, ben definito, così da permettere di apprezzare al meglio la parte del combattimento, l'epica battaglia tra uomo e macchina, imputato e giudice, potere e ribellione.
Comunque, tutto scorre lungo al fiume della perplessità, fino a qui
Pagina 80.
Che per quanto bella è, per me, poteva finire anche lì l'albo.

Invece l'albo continua.
Finalmente gli autori si mettono in gioco, Lorenzo sanguina sé stesso su ogni vignetta, ogni dialogo. I disegni sono perfetti. Ruvidi ed essenziali.
E John è finemente crudele.

Chi scrive entra nuovamente in contatto con il mondo immaginato, e lo fa suo malgrado. 
Perchè la forza che scorre attraverso le pagine non è più quella dello scrittore, non è più suo l'impeto che dona vita alla storia. No.
Ormai chi scrive è vittima della potenza del personaggio, pedina svuotata di ogni velleità artistica perché corrotta dalla volontà strabordande della propria creatura.
Bartoli si spersonalizza, regala la parte più dolorosa di sé al percorso di John, si oppone magari, ma soccombe. Si arrende alla burrascosa incontrollabilità di un Dio risorto dalle ceneri di chi l'ha creato.

E ora è il personaggio che usa l'artista e non il contrario. E John è più puttana di Madame Bovary.

La calma e il distacco con cui tutto ciò viene raccontato, la potenza di una tale rivelazione, l'apparente quiete che permea dalle pagine, dagli sguardi in camera dei protagonisti: l'ho trovata inquietante.
Come se davvero tutto sia sfuggito di mano, come se dovessimo davvero affidarci all'esuberante rabbia di un Dio senza controllo per poter raggiungere la pace della fine.

Ho detto qualche giorno fa che mi fa piacere che John Doe si avvii alla conclusione.
E' sempre più vero, in qualunque modo lo stesso John abbia deciso di dover finire la serie.

La verità è che, da quando è iniziata la nuova stagione, questa è la prima volta che voltando l'ultima pagina ho mentalmente assaporato il momento in cui avrei avuto il tempo di rileggere l'albo.

Ora John è cattivo. Lo era anche prima ma ora lo è di più.
Sono in macchina.
L'auto parcheggiata di fronte a me è targata 'BAD', guardo verso l'alto, mi aspetto di vederlo arrivare.
Feroce.

E m'inquieto.






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