Ho la sindrome di Carmen Consoli.
Me ne sono accorto parecchi anni fa, ho anche provato a guarirci, ma è stato un tentativo vano ed effimero.
Ho anche altre sindromi. Alcune sono maturate col tempo, altre ce le ho da sempre, o almeno da quando mi ricordo di ricordare.
Una è la sindrome di assembach. E' una sindrome che non ha prezzo, anche se in realtà l'apprezzo.
Poi c'è una neanche troppo latente sindrome di Tourette.
Un'apprezzabile sindrome di Stoccolma nei confronti di me stesso. Sporadici sintomi da sindrome di Stendhal.
Ci aggiungerei poi una leggera Asperger.
Ah, mi piacerebbe scrivere un breve racconto sulla sindrome di Cotard e una volta ho visto Sindrome cinese.
Fatto sta che la sindrome di Carmen Consoli è una di quelle ossessioni a cui difficilmente rinuncerei.
Non è che agisca sempre, sia ben chiaro, solo quando scrivo. Un attimo prima sono normale, parlo (poco, ma parlo), e il momento dopo sono lì, a circondare i sostantivi di aggettivi come fossero criminali da scortare.
E non è che non me ne renda conto. Ma spesso è proprio un bisogno fisiologico. Un invadente bisogno.
Me l'ha detto Diè.
Me lo diceva sempre anche il mio professore di italiano delle superiori. Quella volta che ho usato "eonico" si è proprio incazzato.
Rischi del mestiere.
Comunque funziona così.
Scrivo una parola, che so, "luce".
Già di per sé "luce" è una parola completa. Che altro puoi metterci? E' già luminosa, chiara, ristoratrice.
Ma no. Già quando la scrivo devo incollarci sopra qualcosa tipo "improbabile", "improvvisa", "indefinita".. se la parola è corta meglio che il primo aggettivo sia leggermente più lungo, non esageratamente, giusto un po'.
Ideale sarebbe che fosse anche qualcosa di spiazzante, ossimorico, paradossale addirittura sinestetico. Ecco, la sinestesia è l'ideale. "Una rumorosa luce". Perfetto.
Poi però capita sempre che la frase abbia necessita di prolungarsi, di scivolare come una zolla fino a incunearsi sotto un nuovo periodo. Allora serve un qualcosa in più. Un ulteriore aggettivo a incatenare quella luce, per prenderla a braccetto e condurla in sicurezza verso il prossimo segno di punteggiatura.
Se il primo aggettivo doveva spiazzare il secondo serve per sbalordire.
Per vantarsi con chi legge di conoscere una certa parola.
La nostra "rumorosa luce" quindi potrebbe diventare "erubescente" oppure "calefaciente" o "postprandiale".
Reiterando questi ragionamenti per ognuna delle parole che si sta scrivendo riusciamo a ottenere un artificioso costrutto, gravido di orpelli affettati e pleonastici.
"Una rumorosa luce erubescente". Terribile!
Eppure quando lo leggo per la prima volta mi piace. Perché c'è tutto quel che volevo dire, ogni sfumatura, ogni significato.
Poi tolgo. Lo osservo un istante ancora in quella forma perfettamente imperfetta, e inizio a sfoltire, menomare, buttare... Ed è sempre meglio così.
Eppure la sindrome di Carmen Consoli mi rincuora sempre. Mi consola.
Che poi, quando leggo chi sa scriverla davvero una canzone m'incanto.
Certi testi m'inebriano, sono ambrosia, nettare, etere...
E mi chiedono perché ascolto canzoni italiane. Per questo.
"Una luce".
Va bene anche così.
Oddio!
RispondiEliminaCe l'ho anch'io O_O
Oddio... Oddio... Ne sono affetta!
(Oltre ad essere ritenuta da qualche miope anche sosia di Carmen Consoli; anche se a me pare di no).
Dicevo... ODDIO!
spero che tu non l'abbia presa qui. giuro che avevo disinfettato tutto!
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