31.1.12

polvere

Niente, non ce l'ho fatta.

Oggi Splinder chiude.
E no. Non ho resistito allo scrivere un qualcosa di tanto effimero da avere addirittura la data scadenza.

Da poche ore ho il mio blog su Splinder.
Questo qui.
Tra poche ore il mio blog chiuderà.

Se passate di qui oggi lo trovate ancora, ma non serve che ci facciate un giro. Tanto non esisterà più.
Era solo per vedere cosa si prova.

Se leggerete questo post domani, beh, ecco come ci si sente ad arrivare fuori tempo massimo.

30.1.12

Il tempo di pensare


[DICO UN'ALTRA COSA QUASI SERIA E POI TORNO A FARE IL CIALTRONE, GIURO!]

Siamo arrivati al punto in cui tutti possiamo dire qualunque cosa al mondo. A tutto il mondo.

Le idee, i pensieri, le informazioni viaggiano veloci. Più di noi.
O molto spesso più della nostra capacità di razionalizzarle, interiorizzarle, rielaborarle di quel poco da renderle parte del nostro pensiero. Non c'è tempo.

Non ce lo lasciamo il tempo.
Ci stiamo insegnando la frenesia della contemporaneità, della condivisione virale, dell'anticipo addirittura.
Nell'illusione della libertà ci avvinghiamo in catene di tempestività, lacci di partecipazione forzata, patologica, forsennata.

Ed essere liberi davvero rischia di misurarsi nel non esserci.

Perché il sovraccarico cognitivo ti schiaccia se non hai spalle intellettive abbastanza larghe, ti travolge come un fiume di cioccolato nella fabbrica di Willy Wonka. Dolcemente spazzato via da ciò che golosamente ti affabula.

Basta un niente per convincersi, cavalcare un'onda, una corrente, un'idea che a ben pensarci non è nemmeno la tua. E' che non ci stiamo più dando il tempo di pensarci su.

Condividi, retweetta, di' la tua, manda, partecipa, tagga. Di più, più in fretta, primo!, hashtagga cazzo che lo mandiamo su, facciamo saltare i server con tutti 'sti tweet, presto, terremoto. Terremoto.

Terremoto.

Confirmation bias. Faceva figo scriverlo. L'ho fatto infatti.
Non so neanche cosa significa davvero, ma lo scrivo, lo riscrivo.

Si inizia così, e poi ci si ritrova a dire tutto, a ridire tutto con la convinzione di aver capito anche se ci si è fermati alla prima riga. Non c'era tempo per le altre. No, erano troppe e non c'era tempo.
E allora seguiamo. Following. Folle.

Individui, gente e infine folle. Dovrebbe essere il nostro progresso.

E ci siamo rubati il tempo di pensare. Ce lo siamo rubato a vicenda.
Non lo rivoglio tutto, no.

Quindici anni avevo, sentivo una cosa in tv, prendevo la bici e pedalavo per quattro chilometri per arrivare in biblioteca. 'Ciao Giorgio...' e iniziavo a sfogliare. C'avevo pensato per tutti e quattro i chilometri e ora cercavo tra le pagine, un libro, un altro, poi chiedevo. E lì si formava un'idea. Decantava, riposava come la pasta del pane.

E poi altri quattro chilometri. Il tempo per pensare. Analizzare, elaborare, distillare.

Ecco, non lo rivoglio tutto, no.

Ma giusto un attimo in più, solo un istante per capire veramente cosa c'è nella bottiglia che sto affidando alla corrente. Neanche so dove andrà a finire.
Meglio pensarci.

Perché le cose da capire sono tante, troppe forse.

Che poi, meglio il troppo del nulla.
Anche se nel nulla la percentuale di informazioni sbagliate, false, tendenziose, bugiarde, ingannevoli, ambigue, manipolate, inutili, deviate, fedifraghe, diffamatorie... beh, la percentuale lì è zero.

E nel troppo?

Nel troppo è probabilmente troppo.
Ma non contano le dimensioni di un errore, l'importante è come lo usi.

Ah, ero partito da qui.

27.1.12

Raccontami una favola...


Quando ti siedi lì sai già che ti tocca.

E' sempre all'improvviso, senza un avvertimento, un gesto.
Sembra quasi che attenda per prenderti di soppiatto. Si nasconde dietro ai racconti della quotidianità per assalirti spalancando le fauci dei ricordi.

Non c'è una parola che lasci presagire l'inizio del discorso, nulla se non un impercettibile mutamento del silenzio.
D'un tratto quegli occhi azzurri si perdono in un vuoto differente.
Estremamente vivi, tra le pieghe rugose del tempo.
Così diversi dai miei, e sempre arriva il momento in cui mi lambicco su quelle differenze, li avessi io così speciali. Ma lui sta già raccontando.

E anche se un sorriso svela il mio "ancora...", lui va, cammina svelto su quelle strade lontane, la voce è incerta ma non le gambe, non in quel narrare almeno, secche anche allora. Lo portano lungo percorsi impervi eppure conosciuti ormai, rivissuti, rivisti, immaginati. Da sempre. Da quando mi ricordo di essere stato in grado di ascoltare qualcosa.

E mi ripeto mentalmente i passaggi, lo controllo sì, ché non si perda niente, che la reciti tutta perfettamente quella poesia, lo controllo. Perché a novant'anni (ma lui dice già novantuno), si sa, qualcosa può anche sfuggire. Ma io non voglio. Mi piace sentirmela narrare uguale uguale, altrimenti non è la stessa cosa.
E poi, se non fosse così mi proccuperei.

Perché la memoria funziona così, devi domarla con le ripetizioni, ripiegarla su sé stessa, ripercorrerla avanti indietro, come quando da bambino correvi senza un senso, su e giù nel corridoio freddo di quella casa di campagna.

E lui racconta. Lui che è del '21, un anno in più del Papa, l'altro, quello morto. E l'inverno, i treni, l'infermeria in Jugoslavia, le andate e i ritorni, e quell'ufficiale tedesco che mi ha fatto saltar giù dal vagone, e ci stavano portando in Germania. E le strade percorse, le bombe nel giardino che si è salvata solo la statua della madonna, e il nascondersi nei fossi con le canne in bocca per respirare.

E ripasso anch'io tra quelle parole, ruvide come asfalto. E mi immagino sempre i se. Fino a non esserci, fino a scomparire io stesso in un'ipotesi.

E mi sento più vivo, sopravvissuto forse anch'io, anacronisticamente superstite di una tragedia sempre così lontana.

La memoria è così. Noi inganniamo lei e lei ci ripaga d'inganni.
E ripetere è il trucco, ripetere anche quando sembra ovvio, ripetere fino ad arrivare oltre l'imparare.

E lui è ancora lì che racconta.


Poi toccherà a me.

26.1.12

Cattive ragazze

All'apparenza non sembra proprio, ma secondo un'università americana questo è il volto del male. Sono servite trecento fotografie da elaborare al computer prima di arrivare a questa conclusione. Si è trattato di un lungo lavoro di ricerca effettuato dall'Università di Washington di St Louis. Nicholas Holtzman ha così svelato la cattiveria in persona. Una somma di aspetti somatici che, elaborati tra loro, hanno restituito il volto di questa giovane che sarebbe il prototipo dello psicopatico. Dietro questa faccia - normalissima, è il caso di sottolinearlo -  una personalità insensibile e senza scrupoli, fredda, con il desiderio di comandare gli altri, e poi le menzogne e la manipolazione. Conclusioni che vanno nella direzione opposta a Lombroso: il volto di questa ragazza non provoca infatti nessuna paura

Nicholas, che ti devo dire?
Mettitela via, ma credimi, non è di sicuro questo il modo, ecchemmaipuòavertifatto??? (ho messo virgole a caso, lo so).


Che poi: è preoccupante che nei miei trascorsi ci sia proprio 'sta qui? 
Cioè, non una che le somiglia, proprio lei!

Cazzo, mi sento manipolato.


Costruir su macerie o mantenermi vivo


Avrei dovuto forse?
Cioè dico, avrei dovuto davvero inseguirla quella felicità?
Quella dei sogni? Quella del vorrei assolutamente? Quella dell'adesso strizzo forte le palpebre e mi concentro e si avvera?

Non lo so da dove sia entrato questo discorso, magari al tavolino di un bar dicendo di sfuggita che io sogni non ne ho mai avuti?
Un vanto? Una condanna? Una debolezza?

Eppure, percorrendo controcorrente i fiumi della memoria non trovo mica niente.
Niente che non mi sia capitato così, per il gusto delle cose quando capitano.

Ma cercato, no dico, ardentemente desiderato, sognato febbrilmente, voluto.
No, di quello nulla.
Oppure sì, forse sono quelle immagini che si arrampicavano al contrario risalendo la punta della penna, forse quegli istanti gocciolanti di ricordi che ti attendono in agguato nel dormiveglia.

Così adesso.

Mi ricordo di aver letto questo un giorno:
"Forse, ogni tanto, bisognerebbe proprio che qualcuno dei bambini che conosciamo - stufi di sentirsi chiedere in continuazione: "Che cosa vuoi fare da grande? Dimmi che cosa vuoi fare da grande” - ci prendesse in disparte, e senza tanti giri di parole, guardandoci dritto negli occhi ci chiedesse:
"Ma tu, piuttosto, tu, si può sapere che cosa hai fatto tu, da grande? 
Che cosa ne è stato di quel senso di infinito che ti prendeva ogni anno, alla fine della scuola, davanti alla distesa sterminata di un'intera estate? 
Che cosa ne hai fatto tu dei tuoi sogni, ma quelli veri, quelli che contano: gli specchi da attraversare, i mondi alla rovescia, i paesi delle meraviglie, i rifugi segreti, gli amici immaginari, le carte magiche, i voli, tutte quelle cose che ti stanno dentro, e ti nutrono l'anima, e ti fanno sentire voluto bene da te...Che cosa ne hai fatto, tu, del tuo tempo?". (Lella Costa - Una meraviglia di paese)

E me lo sono chiesto che ne ho fatto del mio tempo.
Perché non l'ho mai cercato di sapere davvero cosa avrei voluto fare da grande. 
Mai un'aspettativa, io.
Alle elementari facevo i conti e pensavo che nel 2000 mi sarei laureato. A 24 anni.

Non è successo, così come sicuramente è successo tutto ciò che nel tempo mi son detto non sarebbe accaduto mai.

E il mio tempo spesso l'ho odiato, probabilmente come l'unica cosa al mondo che avrei saputo odiare. Ma mai l'ho tradito. Io, così infedele a me stesso, quel tempo l'ho sempre rispettato. L'ho alimentato di inutilità deliziose, sfacciati diversivi, improponibili elucubrazioni.
L'ho dato più che preso, collezionando attimi fino a non sentirli più nemmeno miei, mutando l'appartenenza, l'assenza, l'incostanza.

E mi sono fermato. Spesso.
Non come quelli che dicono 'io non mi fermo mai'.

E a tornare indietro rifarei tutto, e anche tutto il resto.
A poter tornare indietro mi sbizzarrirei con me, così come ho fatto già.
A tornare indietro tornerei indietro di nuovo, e di nuovo, e ancora. 
A sapere come sarebbe andata.
Mi manca sempre il sapere come sarebbe andata.

24.1.12

Xè pezo el tacòn del buso

E' che a forza di insistere poi va a finire che la gente ti ascolta.
Perché va bene fare gli spiritosi, gli ironici, i sarcastici, ma a un certo punto sono i fatti che devono darti ragione.

Hai ragione!


Hai un messaggio, un'idea, una volontà da trasmettere? bene, insisti fino a che il tuo pensiero non giunge a destinazione, insisti e insisti ancora, perché i risultati arriveranno.

Ecco, io a "Un pò dolce un pò bastarda" l'ho detto in tutti i modi che "pò" non si scrive con l'accento.
L'accento non ci va! Non ci va!

E a furia di dire le cose poi succede che la gente ti ascolta.

Intervallo

Stasera scrivo.
No, non so cosa. (Suggerimenti?)

C'era forse l'ultimo capitolo sulle parafilie, ho letto 'Pompa i bassi Bruno' di Baru e 'PhonX' di Bacillieri ma mica ho voglia di parlarne, poi quella roba di De Andrè ma rimane ancora tutta in testa, scambiarsi le password è come fare sesso (l'ho letto da qualche parte), la gente si fa le foto di fronte alla nave affondata, hanno chiuso megaupload.

E' che... vabbè, è che.

Comunque ecco perché preferisco Google a Bing.


23.1.12

Se mi cerchi non ci sono


Se per caso mi state cercando, oggi mi trovate lì.
Nell'attimo precedente.

L'istante preparatorio, il momento che prelude, il secondo prima.

Sto qui, osservo, vedo, subisco.
Non è l'attesa ragionata dello scacchista, nessuna programmazione febbrile, nessuna mossa studiata, matematica, geniale.


Sto qui. A cercare di scostarmi dall'importante, sviare la mia stessa attenzione in un pensiero meno strutturato.
E mi dico che lo faccio apposta.
Che non sbaglio i tempi ma li domino. Che sto meglio qui: a meravigliarmi del come si formano le cose, a un passo dalla storia, nel prima e nel dopo. Mai nel successo. Solo nel da succedere.

Solo.

E mi dico che lo faccio apposta.

Ecco, oggi mi trovi qui. Cercami se vuoi.
Trovami se sai.

Ed è tutto un rebus di cui ho già dato la risposta.
(2,2,6,3,2,4)

Virgin Jumping






21.1.12

Facecook: l'angolo cottura del mercoledì (brevemente al venerdì) 14


Innanzitutto un doveroso vaffanculo a Blogger che mi ha troncato e cancellato il post che avevo pubblicato stanotte, e me ne sono accorto solo adesso. Quindi, oltre al danno la beffa, dato che mi tocca riscriverlo! Ma per cazzeggiare questo e altro...



Tra le cose che difficilmente ritorneranno nell'immediato in questo blog c'è proprio facecook, ché il 2012 è iniziato con poco, poco tempo per fare qualsiasi cosa... Cioè, qualcuno ha controllato che i giorni di quest'anno non siano stati regolati in maniera differente?
Il dato di fatto comunque è che non sto cucinando.

Sì, magari le solite robe alla sera, di fretta, coi sensi di colpa post festività, di nascosto...

Comunque, sono naturalmente di prescia anche adesso. Quindi una cosa rapida e non ci si lamenti.

Si fa un tortino di cipolla e ricotta.
Tutti d'accordo?

Chi? Come no?
In che senso? Chi è che ha alzato la mano là in fondo?

Come non ti piace la cipolla? In che senso non i carboidrati??? Ma che c'entra, la ricotta mica è un formaggio! Ma che cazzo vuoi? Oh! OHHHHH! Non ti piace? Non lo mangi e non rompilcazzo... non toccare oh... ma..ma..eccheccazz... lasciate stare la cip.. ma.. ma..ehi, tu! giù il coltello... ma io ti..vaff...! Biscaggina...!



Ripristiniamo un po' di ordine, per cortesia.
Quelli che sono rimasti in piedi prendano due cipolle, di quelle dal gusto abbastanza dolce, e le tritino finemente. Le facciamo rosolare in una padella con un po' d'olio, sale e pepe.
Quando prende colore aggiungiamo dell'acqua (o del brodo se ce l'avete già pronto, che non ne serve molto) e la facciamo stufare per un quarto d'ora.

Siete stufi? La cipolla sì, e anch'io dato che sto riscrivendo 'sto cazzo di post e non mi ricordo assolutamente com'era...

Spegnete il fuoco. Lo so che non avevo mai detto di accenderlo, ma era implicito, stiamo parlando di cucinare, va da sé... vabbè, che cazzo sto a perdere tempo. E spostate più in là il corpo dello stronzo col coltello, dai voi due trascinatelo lì che qui intriga (dialettismo).

Quindi, aggiungiamo 250 gr di ricotta e del parmigiano grattuggiato a piacere. Per a piacere si intende la quantità, non il modo in cui lo grattuggiate. Che poi potete grattuggiarlo come volete, che siamo in democrazia. Come? Nella ventola del pc? Mah, direi che non è il caso... Signora, metterlo al posto del grattatoio del gatto? Beh, direi che ci si può provare.

Orbene, siamo giunti al momento uova. Bisognerebbe aggiungerne un paio. Io mi sono dimenticato di averne e infatti non ne ho. Ma se le avete mettetecele.
Se siete vegani non importa, tanto c'era anche il formaggio (sì, lo so la ricotta non è un formaggio...) e comunque in sostituzione degli altri ingredienti il trucco è quello di andarsene affanculo usare il seitan. Sì, sì, col seitan viene buonissima uguale uguale. Usate il seitan. (e questi li abbiamo sistemati. Poveri ingenui!).

Ora che la crema è pronta pensiamo alla pasta sfoglia.
Io la preparo così:

lavoro 250 gr di farina dura con 250 gr di farina per dolci, il tutto con 250 gr di acqua. Facile, 250, 250, 250. Quando l'impasto è bello compatto ed elastico aggiungo in due versate altri 50 gr di acqua. Metto tutto in frigo per 2 ore.


Con un mattarello tiro la pasta fino a formare un rettangolo spesso 1 cm. Allo stesso modo stendo anche un panetto da 500 gr di burro.


Adagio il burro sopra la pasta e faccio la cosiddetta piega a tre.
Ops..scusate!
Dicevo, la piega a tre.

Lasciamo riposare per un'altra mezz'ora.

Il tasso di coccolosità del blog è ai massimi storici!
Poi iniziamo a stenderla di nuovo.
Ehm... posizioniamo così il mattarello
e facciamo altre due girate
Macheccaz..
Vabbè fanculo. La sfoglia la compro già fatta di solito. Ecco, l'ho detto. Fiuu... Mi sento meglio adesso. LA COMPRO. L-A-C-O-M-P-R-O-G-I-A'-F-A-T-T-A! Bene, il momento delle confessioni è terminato.
Torniamo a noi.

Copriamo una tortiera con la carta forno, mettiamo la sfoglia, rimbocchiamo i bordi come la più amorevole delle tate e farciamo con la crema di ricotta e cipolla.
Quaranta minuti di forno a 200 °C.

Giusto il tempo di chiedere un parere ai nostri ospiti.

Siamo pronti per il lancio delle ostie aromatizzate alla cipolla!

Meehehe!

Cipolla fa rima con cucciolo

Su 'sta cosa di quanto è buona la cipolla 'n coppa 'o parmiggiano voglio andare a fondo

19.1.12

Morti di sonno - ovvero petrolcinico


Qual è l’istante esatto in cui si diventa sé stessi?
Quanto un luogo ci appartiene e quanto noi apparteniamo a esso?
Dove finiscono i ricordi, le facce, i sogni della nostra giovinezza?
Da dove arriva quella malinconia che da sempre ci impregna i vestiti come il più tenace degli odori?

Se siete cresciuti nel villaggio Anic di Ravenna negli anni settanta, se siete figli dei lavoratori del petrolchimico, se quei giorni scanditi dalle esalazioni  vi graffiano l'anima per poi accarezzarla, se siete lì o ve ne siete andati, insomma se siete questi qui, Davide Reviati parla di voi.

Se siete tutti gli altri, invece, l'autore ravennate mette a vostra disposizione il suo sguardo e la sua memoria (o forse l'invenzione della sua memoria raccontata dal proprio sguardo) per spiare con discreta indiscrezione le vite e i sentimenti di chi come lui ha abitato il quartiere, rincorso quei palloni, consumato le proprie speranze nell'illusione del null'altro.

Un romanzo di trasformazione più che di formazione.
Reviati scatta la foto di una sensazione, quella dell'infinità che avevano le estati quando eravamo bambini.
Sporca di china quel tempo dilatato, ne fissa i limiti con contorni neri di pece, lo appiccica alle nostre percezioni come se fosse lo sfondo in cui si muovono quei ragazzi.

Trasforma il tempo in spazio.

A ogni passaggio strappa rabbiosamente fogli dal calendario.
Riversa sulle pagine una finzione crudelmente vera. Inventa il reale.
Lo fa con sofferenza scientifica. Come se fosse un processo chimico, una formula da seguire col dito nel suo percorso arzigogolato.
Lo fa con una poesia ruvida, istintiva, onirica a volte.
Lo fa con un tratto ruvido, istintivo, onirico a volte.

Lo fa.
Lo fa incredibilmente bene.

La malinconia che ti si appiccica alle dita ha la consistenza vischiosa degli scarti di raffineria, te la senti addosso come un impegno mentre ti si insinua tra i ricordi, raffinazione, disalaggio, disoleazione: separa e confonde, fino a descrivere nell'estremamente puntuale l'inevitabilmente universale.

"La felicità non ha margini di miglioramento"


La rivelazione ci coglie all'improvviso, ancora accoccolati nel tepore delle nostre speranze.
Ci coglie all'improvviso e ci sbatte in faccia il fatto che non c'è redenzione.
Riscatto.
Non c'è il successo, ma solo l'avvicinarsi a esso.
Non c'è.

C'è solo la sindrome di Stoccolma verso un luogo, un'epoca, un microcosmo che noi, privilegiati, osserviamo come quei formicai trasparenti che vendono nei negozi.
Li guardiamo scavare la terra dura degli anni, delle lotte, di zoffcabrinigentilescirea, degli amori, dei dolori, della cattività.

Reviati narra tutto ciò con una crudeltà che in certi casi è confusionaria, tante omissioni, tanti buchi in quella storia, tante cose che non sappiamo. Intuiamo certe motivazioni, certe cadute, ma mai tutti i perché.

E' una tragedia silenziosa, talmente vera da necessitare il sogno per essere raccontata pienamente.

O forse è solo un sogno. E allora ci siamo sbagliati tutti, e i morti di sonno siamo noi.

18.1.12

Esperti che si sperticano


Così non tengono.
Tempo dieci anni e vedi come saltano. Perché le saldature vanno fatte di testa con la cianfrinatura, che poi gli elettrodi così? Attento che si fa male... Ma i plinti? Col magrone così duro voglio vedere come fanno a metter giù le armature... no, no, io le avrei fatte a tre le fondazioni che tanto non van su alti.

Ecco, adesso deve strambare... noooo, ma che cazz, così si fa rubare il vento no, che aveva anche sbagliato a cazzare la randa, guarda lì si vede, che eravamo ancora di bolina che ha tirato su lo spinnaker, ma come si può essere così deficienti...sì, ma se non viri, cazzo se non viri... guarda come è messo il boma, ma come si fa?

Il punto è che c'è stato lo tsunami, è stato quello non il terremoto che lì è tutto antisismico. E' che poi è percolato in mare, 4 grado della scala INES insomma. Parliamo di cesio-137 roba che per i prossimi 150 anni non cresce più niente che si dimezza ogni 1000 anni. Che poi è che è entrata acqua nel nocciolo che non si è più raffreddato. Ma pensa che hanno trovato radionuclidi nel latte a 30 chilometri...

Sì, ma il regolamento non è che non parli chiaro, che poi doveva essere l'ultimo 'sto pezzo di merda. L'inchino lo fanno, ma passano a un miglio, lì è andato a mezzo miglio con una nave che pesca otto metri e mezzo... cioè non ci passano neanche coi canotti lì, i pescatori manco ci vanno che lo sanno che ci sono gli scogli, però ha ancorato e ha girato la poppa nella golfata in avvicinamento alla costa, sì ma quando gli ha detto di salire sulla biscaggina mica l'ha fatto, ed era sulla lancia, ma la BISCAGGINA no!

Ecco, come cazzo facciamo a essere esperti di qualsiasi cosa dopo mezz'ora che è capitata, me lo chiedo sempre. E mi affascina.
Mi affascina l'uso dei termini tecnici, la sicumera, la scafata saggezza, la tenera rassegnazione di chi sa ma non riesce a farsi ascoltare.

E 'sti stronzi continuano a sbagliare.
Non ci ascoltano e sbagliano.

Io comunque questo post l'avrei scritto in prima persona, magari in Arial e non in Verdana che fa più elegante, beh certo, magari con una spaziatura a 1,5 avrebbe reso meglio, che nei blog è una cosa e nei tumblr un'altra... meglio pochi tag, per dire, e sempre gli stessi, altrimenti col SEO non vieni indicizzato che gli spider adesso è tutta un'altra cosa...


'notte.

16.1.12

Se non lo sapete... ve lo dico io!



Quando è stato presentato Google Istant ci hanno raccontato che avremmo risparmiato 5 secondi per ogni ricerca fatta. Vi mostro anche il grafico.
Ecco, io da quando c'è ci metto dal quarto d'ora alle dodici ore in più.

E' che ogni volta, superato il machedavero? iniziale, finisco col chiedermi come mai, chissà cosa stava cercando, magari è la frase di un film, poverino, ah questa la so, e se fosse così? adesso guardo, apro un'altra scheda, e un'altra, e un'altra, forse è un libro, questo è un coglione... E via dicendo, cliccando, cercando, chiedendosi.
E lì perdo tempo.

Posto, naturalmente, che il tempo perso cercando cose inutili e perlopiù ridicole sia davvero tempo perso.
A dire il vero mi capitava anche quando andavo in biblioteca, ma Google è proprio istigazione a delinquere...

L'altro giorno per esempio trovo questo.
Stavo cercando una cosa per un post.
Non avevo neanche tanto tempo. Ma l'ho visto.
E appena l'ho visto ho saputo. Ho saputo che non avrei più scritto, ho saputo che avrei rimandato a domani quel che potevo fare oggi, ho saputo che avrebbero dovuto chiudere l'internet per staccarmi da lì.

Comunque vabbè, è pieno di domande buttate lì e nessuno che risponde.
Ho deciso di gettare le mie reti in rete e vedere quale potrà mai essere la mia pesca miracolosa.

Quindi, dopo i fagioli magici e la mela della discordia: la pesca miracolosa.


1) Data l'importanza del giovedì antecedente al Venerdì Santo, nell'antichità si rideva per scacciare gli spiriti maligni che si pensava risiedessero all'interno delle patate con cui appunto venivano fatti gli gnocchi*
2) L'omonimo libro di Clarissa Pinkola Estès trae ispirazione dall'usanza delle donne uzbeke di aggregarsi ai branchi di lupi per cacciare selvaggina*
3) Quasi tutti gli studiosi concordano sull'omosessualità di Dante, il nome Virgilio derivando da virga, indica appunto l'organo maschile che Dante ricerca e segue attraverso inferno e purgatorio per poi abbandonare solo in paradiso*
4) Dobbiamo focalizzare un punto a non meno di 15 metri per almeno 30 volte al giorno, altrimenti si rischia uno slittamento del nervo ottico verso l'interno dell'occhio*

Poi ci sarebbero queste... Prima o poi mi sa che a qualcuna risponderò.




La verità è che mi sono rotto il cazzo ancor prima di iniziare a scriverlo 'sto post di merda, e adesso che l'ho scritto mi fa da cagare non ho molto tempo ora, sicuramente meritate post migliori, ma oggi va così... e me ne vado così anch'io, così affanculo!

p.s. Stavo scherzando, eh...Era così per ridere.

* No, non sono le vere risposte. Ma mi piaceva far finta di rispondere seriamente.




affanculo, ecco la risposta!

15.1.12

Quando tutto diventò blu - ovvero le risalite ardite

Ho letto questo stamattina.
Metto la foto.


Ecco, a chi mi chiede perché non provo a scrivere qui, mi viene da rispondere che per questo libro, per esempio, non mi viene di farne appunto una critica.
Ci sono delle impressioni che mi ha lasciato, ma se per quelle buone non ho alcun dubbio, per quelle che in qualche modo possono anche essere intese come negative, invece, subentra un livello di incertezza maggiore. So che tutto va interpretato, ma se in quel momento mi fosse davvero sfuggita la chiave di decriptazione?
Cioè, se una cosa non mi piace non ne parlo. Al limite un laconico 'mi fa schifo', ma solo per non uscire troppo dal personaggio.
Ma se un fumetto non mi convince del tutto, se sento che c'è un qualcosa che non va, che l'asse è leggermente fuori centro?

Vabbè, è un problema mio!

Baronciani racconta una storia anonima in cui nemmeno la protagonista ha un nome.

Lo fa con leggerezza, e qui l'italiano di sicuro non mi viene incontro.
Lo fa con la leggerezza quella positiva, una delicatezza deliziosa, semplice e complessa nello stesso istante. Ci porta con dolcezza attraverso le tappe di una risalita faticosa e sofferta.
Usa la metafora dell'immersione subacquea per trasportarci nel mare in cui lei sta affondando, anzi, ci fa scendere così in fretta che già respiriamo un mondo offuscato dalla sabbia della depressione.

C'è già il fondo sotto di noi. Nessun colore. Solo il blu.

E come da un'immersione, si risale. Lentamente. Aspettando. Monitorando il tempo di attesa per decomprimere. Guardando giù, sentendo che la condizione naturale è quella di abbandonarsi alla discesa. Magari a volte con la necessità di forzare i tempi, sbracciarsi verso la luce della superficie, e soffrirne, sbagliare, morirne.

L'autore mette il suo tratto lieve e gentile a disposizione di quell'attesa. Si siede all'interno di una bolla d'aria e silenziosamente osserva il trascorrere di quei minuti di decompressione, perché è lì che si svolge la vera storia, la battaglia muta di una ragazza contro sé stessa, contro quella parte di lei che non sa o non vuole cambiare in funzione del proprio stare bene.

Leggerezza. Ecco, c'è anche quell'altra. Quella che ti parla di un argomento senza mostrarlo, senza definirlo, supponendo, e questo secondo me è il limite alla lettura di questo racconto, che chi tiene il libro tra le mani sappia.
Sappia davvero intuire cosa prova una ragazza il cui respiro è mozzato dagli attacchi di panico, sappia davvero cosa vuol dire non riuscirci, non sentirsi la vita addosso, abbandonarsi, non crederci o meglio non riuscire a farlo.

Perché è proprio nell'eccesso di delicatezza che forse non traspare tutta l'angoscia della situazione, gli stati d'animo scoloriti e schiacciati da quell'oceano che chi sta male si porta addosso, dentro e fuori.

E tutto il percorso rischia di essere intuito come banale, scontato, fine a sé stesso.
E non lo è.

Ecco, adesso non è che posso raccontare dove finisce la storia, quale sia l'epilogo, e lei, lei come farà. Cosa ne sarà di quell'immersione,  se sarà sabbia o sole, fondo o superficie, fine o inizio, o fine e inizio, o fine. O blu.

Blu.

E come ogni cosa, leggetevelo da voi.

14.1.12

Disclaimers


Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001.

A dire il vero questo blog non è un prodotto editoriale perché non ha mica niente da dire, editorialmente parlando almeno, ma forse anche non editorialemente.
Se poi andiamo anche a cavillare sulla periodicità, beh, allora diventa davvero improponibile, ché l'autore di questo blog, pur cercando di esservi sempre presente, spesso  se ne domanda il senso. E ancor più spesso si ritrova con il vuoto di fronte a sé, e la curva di un punto interrogativo che osserva con incertezza e non sa se usarlo come un amo con cui pescare le idee da un buco nel lago ghiacciato del suo pensare, oppure rovesciarlo e sdraircisi sopra come un'amaca, cullando la propria inesistente atarassia come il frutto immaginato di una gravidanza isterica.

Le informazioni contenute in questo blog, pur fornite in buona fede e ritenute accurate, potrebbero contenere inesattezze o essere viziate da errori tipografici. Gli autori di provvisorio. si riservano pertanto il diritto di modificare, aggiornare o cancellare i contenuti del blog senza preavviso.

Che non ci sia niente di serio è evidente, almeno lo è nei contenuti. Che poi si parla dell'universalmente serio, il serio dell'autore di questo blog a volte traspare, ma è solo un inganno, o almeno spesso lo è. Perché non è vero che c'è la buona fede, e l'autore di questo blog potrà dirvi il nome delle dita dei piedi anche se non è quello vero, così, magari solo per mascherare il fatto che per lui scrivere questo spazio non è né un piacere né un dovere, è solo capitato.
Magari a volte potrà sembrare allora che scrivere questo blog sia per il suo autore solo una terapia, un palliativo, l'afflitto esperimento per rimediare a una malattia incurabile. Eppure a volte potrà addirittura sembrare che ci sia divertimento, forse solo necessità di parlare al mondo o quantomeno perire nel tentativo. E' che il mondo per l'autore di questo blog è sempre stato qualcosa a cui pensare ma di sicuro non di cui parlare.
No, proprio no.
Non ci riesce proprio, l'autore di questo blog a sfoderare il sorriso e crogiolarsi di eloquenza, così, senza che nessuno l'abbia richiesto. Potete quindi immaginarvi che orso possa essere l'autore di questo blog quando si tratta di partecipare a qualche evento in cui la gente ti guarda pensando 'ma questo è muto?'.
Cioè, l'autore parlerebbe anche di che animale splendido sia l'ornitorinco, dell'orizzonte degli eventi, dei Sikh che fanno il parmigiano, del governo tecnico e delle giustizia proletaria.
Magari è che nessuno gli ha mai chiesto cosa pensa dell'ornitorinco (a dire il vero all'esame di quinta elementare gliel'hanno chiesto, e ha fatto anche un disegno).

Gli autori non sono responsabili per quanto pubblicato dai lettori nei commenti a ogni post. Verranno cancellati i commenti ritenuti offensivi o lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di terzi, di genere spam, razzisti o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla Privacy e, in ogni caso, ritenuti inadatti a insindacabile giudizio degli autori stessi.

All'autore di questo blog capita ogni tanto di chiedersi cosa davvero sia inadatto.
Cioè, tanto da essere addirittura cancellato. E in effetti di situazioni in cui l'unica reazione possibile poteva essere soltanto l'oblio ne ha vissute. Ci sono anche cose che gli fanno schifo, ma schifo vero, tipo la pedofilia, il razzismo o il wasabi.
L'autore di questo blog è però convinto che esista un diritto naturale a manifestare le proprie idee, e che quello vada rispettato, sempre, indiscutibilmente (e no, non l'ha detto Voltaire, è un falso).
E' altresì convinto che quella cosa che bisogna rispettare le idee di tutti sia una delle stronzate in cui sta affogando questo mondo, che ce lo spaccino come buona educazione o coscienza sociale poco importa, le idee non vanno obbligatoriamente rispettate, tantomento quelle di tutti. Le idee vanno odiate se serve, combattute, denigrate, offese, controbattute, sbugiardate, adorate, idolatrate, ascoltate, analizzate, abbandonate, disattese. Le idee di tutti sono un blob informe che non può essere accolto sotto l'egida dell'ossequio. E quando le idee a essere mortificate sono le nostre, beh, di sicuro la cosa brucia, ma non si può invocare un inesistente e controproducente diritto al rispetto solo perché non si è in grado di rendere il proprio pensiero condivisibile.

Quindi l'autore di questo blog magari un giorno sarà costretto a cancellare qualcosa, ma spera proprio di no. E non perché confida nell'intelligenza di chi potrebbe passare di qui e scrivere le proprie idiozie, ma perché confida nel fatto che in queste cose riesce ancora a essere coerente.

Per tutto il resto all'autore di questo blog piace ammantarsi d'incoerenza.

Quindi, ricapitolando, niente.
L'autore di questo blog non ha ben spiegato quel che voleva dire.

12.1.12

Prime volte (post che avrei dovuto scrivere il 28.07.1990)



Per la prima volta ieri ho scritto una poesia.

Era terribile. Lo ammetto.

Parole buttate sul foglio come dadi a inseguire un numero immaginato tra i pensieri, a giocare coi significati, a illudersi di parlarti davvero così.

Le iniziali di ogni parola formano il tuo nome. Un'altra di quelle complicazioni che adoro.
Acrostico dicono che si chiama. Credo di averlo trovato in qualche libro. Qui. Nel silenzio incerto di questa biblioteca pericolante che è la mia memoria.

Sai, ti ho vista ieri. No, non ti ho solo vista: ti ho scoperta.
Un gesto inconsulto che fa scaturire un evento inaspettato. Questo sei. Questo è stato.
Come accorgersi della penicillina su un contenitore abbandonato, come imbattersi in un continente inaspettato ricercando il conosciuto.

Hai riso. Non mi ricordo nemmeno cosa ho detto. E' passato un giorno, forse solo qualche ora, ma non mi ricordo nulla di quel che ho detto. Solo che ridevi.
Mai nessuno avevo sentito ridere così. Gli occhi straripanti di questo luglio incendiario, le labbra immense, deliziosamente adolescenziali, inevitabilmente accentratrici.

Ridevi.

Chissà se mi è bastato quello.
Ho scritto una poesia ma non parlava di questo, non parlava di niente.
Eppure in ogni singola lettera ho immaginato di tracciare il contorno del tuo viso.
C'era una rima sbagliata, forse paura, ma già non ricordo nemmeno questo.

Troppo poco spazio in me per contenerti.

Ti guarderò in questi giorni, lo so. Ti guarderò fino a che gli sguardi saranno logori, la prospettiva del mio osservarti consunta, consumata dall'irrequieta instancabile smania di averti di fronte.
E già so che ci sarò, sostituendomi al caso per capitare nella tua vita.
Parlerò con te dei tuoi amori fuggevoli, strabordanti, sofferti e sofferenti.
Li ascolterò, proteggendoti quando potrò. Facendo me, fino a risultarne addirittura fastidioso.
Mi preoccuperò, lo so. E mi capiterà di amarti nel silenzio sfacciato delle mie invenzioni. Del mio mondo sbagliato. 

Fino a perdersi, magari un giorno, ma essendoci sempre comunque.

Chissà, come saremo a vent'anni, a venticinque, a trenta. Chissà dove saremo.
Per ora di te ho solo una poesia rabberciata che ho appena strappato. Già svanita.
Forse solo la prima riga mi ricorderò un giorno, forse è solo questo che siamo: inizi che non si risolveranno mai, prime volte incomplete, parentesi solitarie orfane del proprio riflesso.

Non la so la vita, io. Tu sempre così certa dei tuoi errori invece, esuberantemente prigioniera della tua libertà. Vorrei saperti sempre così, inquietamente allegra. La pace, la sicurezza, la serenità t'ingannerebbero quel giorno, ti assalirebbero alle spalle fino a umiliarti, corromperti, tristemente consumarti.
La pace, la sicurezza, la serenità sono giochi di fata morgana a cui la tua semplice complessità si aggrapperebbe fiduciosa, volandone magari, fino a cambiare l'angolazione, mostrartele nella loro finzione. Smaschererai l'imbroglio forse. Ma sarà tardi.
E' sempre tardi.

Per questo vorrei saperti sempre così.

10.1.12

Vivere per delle idee


Non sto scrivendo.
Non ne ho voglia. Non avrei neanche niente da dire.

Non penso.

Ho riempito di impeti romantici pagine della moleskine, in un passato recente.
Oggi non ne sarei capace. Non so dove l'ho nascosto.
So che è stata una questione di sopravvivenza. So che un giorno non lo sarà.

Scrivere sulla moleskine fa schifo. Quella piccola dico.
Il fine riga arriva più veloce dei pensieri che hai in testa, e in quella caduta, nel rassegnato raggiungimento della prossima partenza le percezioni evaporano, le cognizioni deragliano, le parole mutano.

Le idee si sgretolano.
Povero Chatwin!

Idee.
Qualche tempo fa ho pubblicato questo.

Stavo lavando i piatti quando mi è venuta l'ispirazione.

Oggi, girovagavo per l'internet e trovo questo.

Chissà se stava lavando i piatti anche chi l'ha fatta.

Comunque la nascita delle idee è un argomento che mi affascina.
Questa immagine e la mia sono la stessa cosa?
Fosse anche che l'altro, e non è il caso, abbia visto prima la mia. Sarebbero la stessa cosa?
Quella persona non ha lavato i miei piatti, non ha nemmeno catturato quella lucertola a sei anni, né tantomeno ha fatto piangere quella ragazza per poi pentirsene. Lei oggi non ha fatto i miei sbagli, non era nemmeno lì quando mi sono perso in certi pensieri troppo lontani da me.

Quella persona non è me.
E quel che ha fatto, fosse anche stato identico a quel che ho fatto io, non è una copia.

Il plagio non esiste. Esiste di sicuro la truffa, l'arrichimento illecito con un'idea di un altro. Ma il plagio, la riproduzione, la copia esatta, quello no. Un'opera è pregna d'intenti, gocciolante di vissuto, carica del significato che chi la crea le dà, fosse anche la creazione della copia di una copia da una copia.

Copiosamente.

A questo punto mi viene sempre in mente il Pierre Menard.
Dovrei provare a riscriverlo forse un giorno. Identico.

Comunque, la potenza della rete è che le idee sono in diretta.
Se pensi a qualcosa e hai un po' di pazienza puoi verificare subito se c'è qualcuno che l'ha pensata prima di te.

Io di solito lo faccio.
E' per questo che ci metto tanto a scrivere. Mi perdo.
Cerco, salto di qua, di là, poi mi metto a leggere, poi clicco un link, poi cerco un'altra cosa che mi sembrava fosse e invece, poi magari provo a vedere se inglese, o in spagnolo... e via così!

L'altro giorno ho pensato a questo.
E come si può vedere è già stata fatta.

D'altronde anche quell'altra era già stata fatta.




Maledetti americani! Alla fine vincono sempre loro...

Quindi?
L'originalità esiste davvero? Oppure è solo la copia di qualche altra qualità?

In realtà poco importa.
L'importante, e questo lo dico io, è che ci sia gente che pensa, gente che crea, gente ha delle idee.

E se poi 'sta gente si scanna per stabilire chi l'ha avuta per prima quell'idea, beh, può essere un'idea anche quella.