31.10.13

Il grande Belzoni ovvero Ontico Egitto


[Recensione velocissima che domattina si parte per Lucca e qui è ancora tutto un casino, ma ci tenevo a farla prima di partire.]

Dietro casa mia c'è via G.B. Belzoni.
Ce n'è una in ogni paese qua attorno. A Padova è appena fuori dal centro, dopo il Santo e l'ospedale. L'ho fatta tante volte, ancora adesso. Fila via dritta tra due muri di portici e palazzi, tante copisterie e un kebab buono proprio lì, prima di spegnersi all'entrata del Portello. Nasce e muore a pochi passi dai luoghi più animati della città, eppure è silenziosa, rigida, come se soffrisse quell'irrealizzazione, l'incedere immobile dei suoi confini cercando di protrarsi oltre la linea immaginaria del conosciuto, aspirando a divenire punto d'arrivo senza mai rassegnarsi al suo destino di essere soltanto un tramite.

Ecco, Il grande Belzoni di questo racconta. Dell'avventura inusuale e meravigliosa di un uomo condannato a essere soltanto il tratto centrale di un percorso, un ponte maestoso che collega epoche differenti senza mai essere punto cruciale del loro dipanarsi.

Una storia genuina, di quelle di una volta.
Ed è proprio questa l'impressione da cui si viene subito colti aprendo l'albo, pare proprio che provenga da un altro tempo, coi suoi disegni puliti, l'impostazione classica, una regia mai invasiva, che ti avvolge immediatamente e ti trasporta all'interno delle ambientazioni raffinate e inebrianti come spezie esotiche.

Il lavoro di Walter Venturi  è puntiglioso e accurato. Il tratto rassicurante e dosato ti trattiene all'interno della storia anche in quei passaggi che sembrano più incredibili, permettendo di mantenere sempre costante la sensazione di trovarsi di fronte a un racconto rigorosamente storico.

E nella Storia, quella con la esse maiuscola, ti conduce questo romanzo. Spingendosi come una feluca sul Nilo alla scoperta di un personaggio prodigioso, un eroe d'altri tempi, di quelli che nei fumetti ormai non s'incontrano più: figuriamoci nella realtà!

Detto tra me e me, non mi sarebbe dispiaciuto avere ancora più dramma, soprattutto nella parte conclusiva dell'esperienza belzoniana. E oh,  ci ho questa inveterata passione per gli sconfitti...

Quindi, in edicola, 272 pagine, 9.50 euro, Walter Venturi, Il grande Belzoni, Sergio Bonelli Editore.

30.10.13

L'ultima ruota del cazzo




Domani inizia Lucca Comics.
(sì, il titolo esteso dell'evento è Lucca Comics  & Cinema & Serietv & Videogiochi & Cosplay in mezzo al cazzo & Prossemica & Cucina Molecolare & Cosplay fighe quelle sì & Pony & Games [LCCSVCPCCPG])


 Si capisce che iniziato perché tutti stanno postando i propri $sepassateasalutarmimitrovate["row_agenda"].

Io, se non piove, ci vado molto volentieri venerdì, sabato e domenica. Se invece pioverà ci sarò sempre venerdì, sabato e domenica ma meno volentieri. Ché con la pioggia i cosplayer dei gremlins tendono a essere invasivi.





Comunque il la lista dei sevoletemitrovatequi non ce l'ho, anche perché non lo so mai nemmeno io dove sono.
Cioè, mi piacerebbe anche dire:
Venerdì 1 dalle 14 alle 15.30 mi trovate al convegno "Il paranco come stilema nella squadratura delle tavole di un fumetto". Poi dalle 17 alle 18 potrete partecipare insieme a me al gioco di ruolo "La proselità dei formaggi", ospiti gli autori.
Sabato 2 dalle 10 fino alla fine parteciperò alla presentazione di "Colon is a tory", un libro di denuncia di Elian Billin sulle condizioni precarie di proctologi rivoluzionari dell'isola di Ceylon. Sarà presente il disegnatore Marcus.
Domenica mi riposo, però di sicuro mi trovate al workshop sull'utilizzo dell'inversione onomatopeica come nuovo linguaggio del fumetto. In pratica ci si propone di utilizzare i ballon come i personaggi e al posto del ballon ci sarà l'iconcina del personaggio che lo pronuncia con l'eventuale indicazione dell'azione che sta eseguendo. Credo che appena ci si prenderà la mano sarà la vera rivoluzione del fumetto di questo millennio.


Però no. In realtà, come sempre, tutto abbastanza casuale: si gira per gli stand, ci si lascia attirare dalle copertine, dai titoli, dai fogli A4 attaccati con lo scotch ai pali dei tendoni. Senza un fine, senza fine, senza affine e anche senza Fini, che oggi è risaltato fuori ma chi se lo caga più...

In realtà, per evitare la solita confusionaria aleatorietà, quest'anno ho deciso di seguire un metodo.
Ho preso il disegno di una molecola di Galattomanno (che vi ricordo è un trisaccaride formato da unità di mannosio e galattosio, specificamente polimerizzato a formare catene α-D-mannopiranosil unite con un legame glicosidico β-D-(1-4))


e l'ho sovrapposta alla cartina di Lucca.
Ecco: questo sarà il percorso che seguirò in questi tre giorni. Sono sicuro che mi riserverà delle sorprese.



E niente.
Non ci si vede là.

28.10.13

God bless a me


L'altro giorno ho scritto un post.
Pareva una roba da niente, così tanto per ridere, un posticino carino.
E invece il 26 ottobre 2013 verrà ricordato come il giorno in cui l'internet cambiò.

Come un sassolino che scalciato incautamente diviene valanga, così quel link sparuto è rotolato inesorabile rimpinguando a ogni condivisione il suo seguito.
Facebook, twitter, forum, blog: l'internet tutta si è in pochissimo tempo piegata alle mie parole.

E sono diventato famoso.








Non che mi interessi essere famoso eh.
Sì vabbé, in realtà è capitato ma in questi anni non è la prima volta che ci provo.

Inizialmente ho tentato con la musica.
Il mio primo CD Ti amo raramente non ha sicuramente avuto il successo che si meritava.
Però una volta ho visto scritta su un muro una frase tratta dal disco e me ne sono inorgoglito. E in effetti "ti scofano sul cofano\fa finta sia un microfono" spaccava...

Poi è arrivato il momento dei libri.
Dapprima il saggio sull'Ernesto Che Guevara barzellettiere Ameno Che, dalle prime chistes nei quartieri poveri di Buenos Aires ai monologhi perduti sull'aerofagia comunista.

E a seguire Ragioneria e sentimento, un romanzo gotico di 850 pagine che cavalcava l'onda dei successi editoriali degli ultimi tempi. L'unica recensione su Amazon era di uno che aveva sbagliato a scaricarlo ed era convinto fosse in latino. La nota positiva è che ho imparato il significato della parola "inane".


E infine il cinema.
Ne avevo già parlato qui.
La trilogia di Bovini Assassini sarebbe stata un inaspettato successo se non fosse stato per quella storiaccia della suora. Comunque, tutte le copie del primo capitolo sono state sequestrate dalla polizia postale. Rimangono, per chi vuole, i venti dvd masterizzati dei sequel: Minaccia dalla troposfera e soprattutto La mandria esige vendetta con la mitica scena del cactus e la farinata di ceci, che una volta è finita anche su youtube (l'hanno tolta).



Insomma, a diventare famoso ci avevo già provato.
E ora a causa di 'sto cazzo di post lo sono, finalmente.

Che dire, plebe, fortunatamente il successo non mi ha cambiato.

E infatti adesso tutti fuori dai coglioni... Mica è un posto da gente questo.

Andatevene da Zerocalcare, che è ancora lunedì...

26.10.13

L'indagatore dell'internet


Qualche settimana fa è uscito Orfani.
Chi ha avuto negli ultimi mesi un accesso a internet dovrebbe saperlo.
Al di là di un giudizio di merito sul primo episodio, quel che più mi ha affascinato di questo periodo subito successivo alla pubblicazione sono state le reazioni dell'internet.
Detrattori, osannatori, hater, troll, lurker tutti uniti per analizzare, esprimere, affondare, denigrare, difendere, accusare, profetizzare.

Non so, non dovrei stupirmene eppure trovo curiosa questa urgenza di esternare, con posizioni che spesso hanno il tono della catechizzazione o di una maliziosa arringa da legal thriller.
Mi direte, vabbé anche tu ti sei buttato subito lì a scrivere di cosa ne pensavi. E io vi rispondo, sì, ma io uno scopo ce l'ho. Io scrivo di fumetti quando mi interessa evidenziare la loro componente attrattiva, quel che mi preme è lanciare un'esca perché chi capita qui sia stimolato a leggerli, perché più gente li legge, più i fumetti vivono, più ne producono e così io posso leggerne di più. È bieco opportunismo il mio!

Comunque, tutto questo scrivere è meravigliosamente inquietante. Certe posizioni sono inquietanti.
Davvero. Forse solo perché fatico a capirne lo scopo, il fine ultimo, l'esigenza primordiale che spinge a essere addirittura livorosi, crudeli, disfattisti. Spesso addirittura contro i propri interessi di lettore.
E vale anche il contrario comunque. Le idolatrazioni, gli incensamenti a priori.
Nulla di costruttivo o utile...

Pare che il solo fatto di avere un device collegato a un social network sia requisito sufficiente per la preveggenza.

Così mi sono chiesto, e se all'uscita del primo numero di Dylan Dog ci fosse stato Facebook?
Il Dylan Dog quello tipo il più grande fenomeno editoriale degli ultimi trent'anni...
Pareva 'na roba divertente.
Antropologicamente, dico.



* i refusi sono ovviamente tutti accuratamente inseriti per esigenze di realismo

25.10.13

Facecook l'angolo cottura del mercoledì (scorso) 29


Essendoci ufficialmente stato un mercoledì questa settimana la rubrica vale.
Lo dico perché l'ultima volta qualcuno si è lamentato che l'appuntamento fisso del mercoledì non è poi così fisso, e non è nemmeno poi così mercoledì. Tale disarmonia pare aver creato in diverse persone gravi scompensi legati all'impredicibilità dei cicli di somministrazione di ricette (pare sia una malattia, l'ho scoperto oggi anch'io).
Quindi, per evitare qualsiasi fraintendimento vi comunico che "del mercoledì" è soltanto una locuzione di facciata, un po' come l'amaro del capo che mica è davvero del capo o Sant'Antonio da Padova che veniva da Lisbona.

Dunque,stasera facciamo queste


che sono delle braciole di maiale con peperoni agrodolci e un filtro di instagram.


E questo

che vabbé è un occho di bue, ma mi era avanzato un pezzo di peperone.

Ora vi starete chiedendo: ma com'è possibile che abbia già pubblicato le foto che deve ancora mettersi a cucinare. Beh, vi svelerò un segreto: ho una macchina del tempo!
L'ho fatta io da solo, con i pezzi dei cellulari che ho comprato in questi anni. La uso solo per andare avanti nel tempo e fotografare come vengono i piatti che devo ancora fare. Così se vengono male li cambio. E se vengono bene inizio a buttare in padella robe a caso che tanto so già che verranno bene.
È comoda. Però consuma un casino di batteria. Col wifi acceso ci faccio mezza giornata.

Allora, si prendono un paio di peperoni (uno giallo e uno rosso, oppure due gialli, o due rossi, o uno rosso e uno giallo) e li si tagliano a listarelle non troppo sottili. Un anello alto un centimetro lo teniamo intatto per l'occhio di bue.
Nel mentre affettiamo anche uno scalogno (no, non porta scalogna. Anzi, per lo scalogno la scalogna è una fortuna che magari stasera si scopa. )

Mettiamo tutto a soffriggere in padella con un generoso olio d'oliva e i soliti sale e pepe.
Quando la cipolla inizia a imbiondire spolveriamo con un abbondante cucchiaio di zucchero in modo che inizino a caramellarsi.
(facciamo, mettiamo, sfumiamo... non so come mai, ma le ricette sono sempre in prima persona plurale come il Mago Otelma. Non sappiamo perché!)

Sfumiamo!


Dopo 3-4 minuti di caramellatura iniziamo a sfumare con dell'aceto balsamico.
Ecco, cerchiamo di non esagerare con l'aceto, che deve in pratica asciugarsi tutto e quindi se ne mettete troppo diciamo che la parte agrodolce sarà inevitabilmente spostata verso l'agro (è un modo gentile per dire che faranno schifo). Facciamo che ne mettete un quarto di bicchiere e poi al limite andate ad aggiungere in base al gusto che desiderate.

Mentre l'aceto sfuma, tritate in modo grossolano alcune foglie di basilico e aggiungetele ai peperoni. Lasciate lì fino a cottura dei peperoni, e questa e fatta.

Ora, svuotate la padella e rimettetela sul fuoco (potreste anche usarne un'altra, ma poi chi è che lava?).
Aggiungete un filo d'olio e appena inizia a fare fumo adagiate le braciole di maiale che avrete precedentemente pepato e salato.
A insaporire aggiungete uno spicchio d'aglio in camicia e del timo se ce l'avete. Io ce l'avevo.
Dopo averle girate un paio di volte, deponete sopra a ognuna una noce di burro e fatela sciogliere continuando a girare le braciole fino a cottura.

Servitele coi perperoni, se no li abbiamo fatti per il cazzo.

Commensali:

A cazzo! Ora che mi son spapato dico quel che mi pare.

Meehehe!


Sfumiamo!
Scalogna, forse una ceretta ci stava...


23.10.13

Senza parola


Bene, è stato ufficialmente decretato che con le rubriche ricorrenti non ci so proprio fare.
Insomma, si era deciso che il venerdì sarebbe stato il giorno dedicato ai misteri e, tempo un paio di settimane, già me n'ero bellamente e francamente infischiato.
E non l'ho nemmeno fatto apposta, è questo che mi dà più fastidio!
Tra l'altro, oggi non è nemmeno venerdì. Niente, non ho rispetto proprio per le tradizioni...

Comunque, dopo i koala assassini e le scie chimiche pre-aviazione, questo post non poteva che essere dedicato a       .

       o, in alcuni testi,               è una parola formata da una combinazione di caratteri che non può essere scritta o pronunciata.
Anche se parrebbe essere conosciuta fin dall'antico Egitto,  la prima testimonianza scritta di        viene fatta risalire al Disco di Festo dove viene utilizzata nella sua forma più arcaica              . Si noterà che in questa sequenza di lettere la parola risulta graficamente più lunga, anche se dal punto di vista fonetico risulta pressoché identica.



Come precedentemente indicato, si ritiene che l'impronunciabile parola fosse spesso accomunata ai riti di mummificazione presso gli antichi egizi, e alcune testimonianze ricavate da papiri parzialmente decifrati conservati presso il museo de Il Cairo, sembrano (seppur senza mai citarla) collocarne l'origine in tempi ancora più remoti.
Alcuni studiosi rivendicano una sua possibile presenza all'interno della Stele di Rosetta, anche se questa teoria è ancora oggetto di controversie, soprattutto nel mondo ebraico dove l'unico spazio "non scritto" che troverebbe corrispondenza in tutte e tre le lingue contenute sulla stele viene interpretato come una delle versioni più pure della parola Jhavé, e non come        .



Insomma, ben prima di pronunce di tetragramma, innominati, innominabili e colui che non deve essere nominato, c'era già una parola che non aveva bisogno di divieti o editti per non poter essere scritta o detta: già l'atto stesso del suo esistere era ed è una non esistenza.



Una delle caratteristiche più interessanti di           è che i singoli caratteri che la compongono possono essere indistintamente visualizzati e pronunciati, mentre è solo la loro sequenzializzazione che gode di questa caratteristica morfologica di impercettibilità.
Anche con le codepage utilizzate nei moderni calcolatori elettronici, siano esse ASCII o EBCDIC, il fenomeno si manifesta, e anzi è verificabile anche nelle porzioni di linguaggio macchina binario indicizzati in corrispondondenza di        .
Insomma, tecnologia e antichità sono entrambe allo stesso livello di fronte alla prodigiosità di tale parola.

Si pensa che all'interno delle 240 pagine del manoscritto Voynich           sia vergata 143 volte, numero già di per sé esoterico tra l'altro, mentre c'è tutto un filone di pensiero che tende a identificare i caratteri che compongono             con i simboli del segnale Wow!, anche se già nel 1985 è stato dimostrato che non vi è attinenza tra le due sequenze. 

I più integralisti naturalmente scomodano Atlantide e l'alfabeto perduto di Mu, i più fantasiosi il rongorongo, ma se una verità storica conclamata c'è sulla parola            è proprio che non c'è una verità, c'è solo lei, meravigliosa nelle sue voluttuose forme, perfetta nella sua brevità di scrittura ma infinità di significati.

Verrà mai svelato il segreto di           ? Speriamo di no, perché la sto usando come password dappertutto!

22.10.13

Il difetto sta nel màniaco


- ... e ricordati che chi fa da sé fa per tre!
- Sì, ma l'unione fa la forza.
- E quindi?
- Quindi muoviti!
- La fretta è cattiva consigliera...
- Sì, ma chi ha tempo non aspetti tempo!
- Ma perché correre? Chi va piano va sano e va lontano.
- Già, però chi tardi arriva male alloggia!
- Ti ricordo che meglio un uovo oggi che una gallina domani.
- Vabbé, ma chi non risica non rosica!
- Eh, no... chi si accontenta gode!
- Ancora ti ostini con 'sta storia?
- Chi la dura la vince!
- Ma il troppo stroppia...
- In realtà meglio abbondare, che nel grande ci sta anche il piccolo!
- Ti rendi conto che sei ridicolo? Mi fai ridere, almeno il riso fa buon sangue!
- Il riso abbonda nella bocca degli stolti...
- Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io
- Chi trova un amico trova un tesoro
- Il mondo è bello perché è vario
- Tutto il mondo è paese
- Per insegnare bisogna prima imparare
- Chi sa fa chi non sa insegna
- L'amore è cieco
- Lontano dagli occhi lontano dal cuore
- Chi si somiglia si piglia
- Gli opposti si attraggono
- L'occhio del padrone ingrassa il cavallo
- L'erba del vicino è sempre la più verde
- L'apparenza inganna.
- Anche l'occhio vuole la sua parte

- Ogni lasciata è persa
- Non è mai troppo tardi
- ...
- ...


- Ma stanno ancora lì a litigare sui proverbi?
- Già...
- Da quanto tempo?
- Due ore...
- Ah!
- Già...
- Motivo?
- Ultima fetta di pizza.
- Classico... Chi vince?
- Pari, per ora...
- E la pizza?
- La pizza me la sono mangiata io un'ora e mezza fa.
- Giusto. Tra i due litiganti il terzo gode...




20.10.13

Storione



Il primo libro che avrei voluto scrivere aveva un titolo.
Avrò avuto sì e no diciassette anni e avevo un titolo.
Anzi, avevo di già accantonato il progetto di Genesis, un racconto di fantascienza scritto in corsivo su un quaderno di Roger Rabbit, e probabilmente era già passato il periodo in cui scrivevo solo con una pilot rossa. E quello della bic nera.

Insomma, avrei voluto scrivere un libro e avevo un titolo.
Era una roba tipo un paradosso o qualche gioco di parole equivalente.
Mai scritto una parola.
Nemmeno il titolo. Anche quello era rimasto solo un'etichetta sul barattolo vuoto di qualche pensiero.
Cioè, la storia ce l'avevo anche tutta in testa, come quegli scacchisti che vivono venti mosse nel futuro e si tengono stretti a quella realtà inventata come al manico di un trolley, però non era scrivibile, non con le parole che avevo in mente.

Poi successe quel che non ti aspetti, la mossa che non avevi calcolato, il colpo di genio dell'avversario (oppure solo una tua supponente distrazione). Uscì un libro con proprio quel titolo.

Una storia d'amore, penso.

Credo fosse il 1998 e io ero innamorato nel peggiore dei modi.
Tra l'altro, a renderlo peggio del peggiore che già era ci si metteva quel mio cocciuto convincimento che invece non fosse proprio il peggiore, e che anzi dovesse davvero essere così per essere certificato come amore vero.

Nel 2013 poi, quindici anni dopo, ho visto su un giornale online un titolo e ho pensato che semmai un giorno avessi trovato le parole per quella storia, allora il titolo sarebbe stato quello.


Il punto è che in quei cinque lustri ho imparato un po' di cose:
- la mia visione da scacchista ha una proiezione che si limita alla mossa che devo fare, e nemmeno sempre
- la tipologia di narrazione in cui mi esprimo meglio è la parola. Non il romanzo, non il racconto, non l'aforisma, ma la parola. Posso scrivere "obnubilazione" meglio di Joyce, ma su qualsiasi altra misura mi frega. Anche da morto.
- Un titolo è solo la prima bugia che racconti
- Scrivere non mi piace. Mi piace mangiare, strascicare i piedi nelle foglie secche, ascoltare la radio in macchina. Scrivere è come bere l'acqua. Non è che mi piaccia bere l'acqua, eppure è una delle poche cose di cui non posso fare a meno.
- Ho un blog, e avrei dovuto scrivere un post sul crodino, ma ho reputato incauto scherzare sugli analcolici
- I diamanti liquidi sono i migliori amici delle ragazze liquide

17.10.13

Orfani ovvero Bildungsroman und Drang


Qualche settimana fa ho scritto una mail a Roberto Recchioni.
Non è una cosa da me, ma era notte e autunno e avevo appena elaborato un pensiero abbastanza complesso, ramificato. Un pensiero che era all'improvviso sfociato in una sensazione.
Cioè, in quell'istante, nell'elucubrazione di tale ragionamento e a seguito di cose viste-fatte-lette, mi ero accorto di nutrire una insospettabile stima per il suddetto. E gliel'ho scritto.
Nonostante l'asocialità, il distacco e quel senso di stupidità adolescenziale che ancora un po' mi sento addosso.

Con Roberto ho avuto modo di incrociarmi in diverse occasioni. Qualche parola buttata lì, le solite cose.
In realtà la percezione è quella di una spietata incomunicabilità, come se due universi paralleli si sfiorassero senza riuscire a individuare il wormhole di Lorentz in grado di fare da ponte tra le loro differenti esperienze.
Ed è ovviamente un mio limite.
E posso anche ammettere che me ne dispiace, che mi avvincerebbe essere in grado di isolare il minimo comun denominatore, un contesto in cui instaurare un dialogo vero, uno scambio, un confronto, una dissomiglianza, se fosse.

Penso ciò perché credo sia una persona interessante. Non uno sceneggiatore interessante. Una persona.
Che quel manipolo di eroi con cui riesco a parlare mica vengono da me perché sono un programmatore interessante.

Lo so, il titolo lì sopra dice Orfani e io mica ci sono ancora arrivato.
O meglio, forse un po' sì.
(comunque se volete leggere di cosa parla e com'è (o come non è o come dovrebbe essere o come avrebbe potuto essere o come sarebbe stato meglio se fosse stato o come potrebbe diventare o come purtroppo sarà o come sicuro che succede così) Orfani basta che vi facciate un giro per l'internet.
Scoprirete che è uguale ma identico a tanta di quella roba che è tipo il buco nero super massivo posto al centro della galassia dell'intrattenimento.
Imparerete che le armature sono copiate da un videogioco che però le ha mutuate da un film che si era ispirato alla copertina di un libro che era stata ricalcata da una miniatura che si è scoperto che era invece una macchia di sugo.
E poi vi sorprenderete nell'apprendere che quel ragazzino di sicuro è vivo e che è tutta una simulazione e che sono tutti morti prima e che in realtà sono sulla Terra e che gli orfani non sono orfani ma si scopre che gli alieni sono i loro genitori e che l'orso è quello di Lost e che non è un vaccino ma un potente allucinogeno e che la tuta del colonnello è quella di Sue Sylvester.
Ah, saprete anche che ne hanno stampato un milione di copie, che il bambino della copertina in realtà è un nano, che il titolo è sgrammaticato e che i fumetti li fanno col computer.)

Dunque, io stavo dicendo che un po' c'ero arrivato a parlare di Orfani, ma solo perché l'impressione è che sia un enorme compendio a colori di quella che è la persona Roberto Recchioni.
Ma tipo una selezione di passioni, esperienze, letture, conoscenze, giochi, chiacchiere, notti, film, speranze, serie tv, cadute, scommesse, ossessioni.
Che poi, mica serve conoscere l'autore o il suo mondo per conoscere un'opera.
Eppure, se quello è il suo mondo ed è così distante dal mio, allora quel ponte di comunicabilità che mi permetterebbe di rapportarmi con Roberto dovrebbe essere la stessa via che mi conduce, se non ad apprezzare, quantomeno a comprendere il suo lavoro.

Sarà che l'ultimo videogioco a cui ho giocato aveva una gettoniera 100 + 100, sarà che la fantascienza per me è Clifford D. Simak, mica Heinlein, sarà che a lavorare in banca ho sentito così tante frasi a effetto che non mi fanno più effetto, insomma, mi sono accorto di partire forse avvantaggiato nel leggere questo Orfani. Ma proprio perché non ho nessun riferimento, perché le cose che vedo sono ciò che sono e non la trasposizione vera o ipotetica di un qualcos'altro.
Ecco, da questo mio punto di osservazione "privilegiato" (o svantaggiato, chi lo sa) posso dire che questo primo numero mi ha appassionato. Più della prima puntata di Breaking Bad, e che il cielo mi fulmini per questo, più del primo Dylan Dog che proprio non si può leggere a mio avviso (che per dire, sono 25 anni che leggo Dylan Dog e a me l'horror fa da cagarissimo. Eppure nel mio modo di leggere i fumetti, attraverso la mia personale chiave di lettura, funziona. Altre cose no, ma quello sì, per dire).
Ma mi ha appassionato non tanto perché si legge bene, rapido rapido, e nemmeno per gli ottimi disegni di Emiliano Mammucari, e i colori (che a me i colori), e i fucili, le astronavi, gli alieni col teletrasporto, e la guerra, la fine del mondo, e i ragazzini e gli esperimenti.
No, io la vera potenzialità l'ho trovata nei rapporti umani, nelle intercorrelazioni, i drammi, i moti d'animo. Non so, sia nel piano temporale dei giovani orfani sia in quello dei guerrieri superuomini ho scorto, o forse ho solo voluto vedere, una moltitudine di fili pronti a intrecciarsi, spezzarzi, soffocarsi a vicenda, oppure solo collegare, legare, rendere indissolubili.
Boh, magari è solo il mio come avrebbe dovuto essere Orfani.

Fosse una serie di quelle che ti guardi in streaming sul pc, preferirei avere già tutte le dodici puntate lì pronte in modo da potermele sparare una in fila all'altra. Sì, la sensazione che mi ha dato è proprio questa, di voler sapere dove va a finire, anche solo per capire se mi piacerà o no.

Che poi, è un po' il senso del feuilleton. E questo lo è, no?
Che io me la immagino la gente a ogni capitolo dei Tre Moschettieri a chiedersi come sarebbe andata avanti, e Milady è buona no è cattiva no è bona, e quello muore, no ritorna ed è tutto un trucco di Richelieu e D'Artagnan è un eroe del cazzo (vedrai nella terza stagione!)
E se in parecchi si stanno chiedendo cose analoghe su Orfani, beh, probabilmente significa che ci sono buone probabilità che funzioni.

Comunque, sono andato strafuori tema, non ho parlato del fumetto, che è un albo introduttivo, che ha solo seminato dubbi, inquadrato approssimativamente la situazione, presentato i personaggi, spiegato poco e mica tutto, anzi, quasi niente.

E allora si aspetta. Per capire se quel meh è una falla della sceneggiatura o solo un deficit di pazienza, per scoprire se è sospensione d'incredulità o abuso di posizione dominante, per dire io l'avevo scritto tre numeri fa, o magari solo per leggere, che pare niente, ma bisognerebbe far bene anche quello.

Oh, anche se non sembra, sono preparato. Se ci sono domande rimango a disposizione...
(cazzo, non ho nemmeno parlato di Caravan...)

14.10.13

Squali_fichi_amo


E ce lo si diceva qualche post fa.
Kalokagathia.
Che se una qualsiasi cosa è bella allora dev'essere anche buona, gentile, ammirevole.
È la peggiore delle illusioni ottiche.


La lotta è a lieto fine.
Per la foca forse. Ma il povero squalo che non mangia e muore? Cioè, il pescecane mica è un cacciatore della domenica che, se la lotta è a lieto fine per il fagiano, se ne torna a casa, apre il frigo e si scarta un kinder pinguì buttandosi in divano a guardare il granpremio. No, lo squalo se non mangia la foca muore. O muore la foca o muore lo squalo, è facile. E non è nemmeno così brutto, è lo squalo.
Ha due cazzi, non può stare fermo per 'sta cosa della vescica natatoria e mangia le foche. Semplice.

E invece lo squalo è cattivo.
Ed è cattivo solo perché la foca è così





Mangiasse i calamari giganti sarebbe tipo un eroe.



Ma quelle robe che i bambini li vorrebbero negli acquari e da grande tutti sognerebbero di fare lo squalo.
E invece si mangia le foche.
Piccole, carine, inermi foche. Sì, sì, quelle i cui maschi uccidono senza molte remore i cuccioli degli altri per trasmettere meglio il proprio patrimonio genetico, ma sì, le foche, quelle che se hanno due cuccioli uno l'abbandonano che mica possono sbattersi per entrambi e a SOS Tata risponde sempre la segreteria.

Le foche, quelle supercucciolose come Sibert che non farebbero mai del male a nessuno.
Sì beh, a parte i pinguini.

e gli uccelli marini




e i cuccioli delle altre specie di foca





Che ovviamente però non sono così carini quanto lei.

Le foche dai.
Quelle che si stuprano i pinguini.

E c'è qualcuno che si ostina imperterrito a dire che gli squali non hanno ragione.
Gli squali difendono solo i pinguini.

Ah, i pinguini sì che sono bestiole carine.

Ecco.
Solo per confermare che la kalokagathia è una kalokagathia.
Prendi me.
Così bellino eppure tanto spietato.
Rompo i grissini dentro ai pacchetti in pizzeria e rimetto i cd nel posto sbagliato alla feltrinelli.
Peggio delle foche.
Meglio dei pinguini.

W gli squali!




11.10.13

GAMDT - parte seconda - Estremamente vago


A seguito dello strepitoso successo avuto dal post sulla mirabolante renna di Verona, mi è stato chiesto di proseguire in questo excursus su Gli Animali Mitologici Del Triveneto.

Non vi nascondo la mia difficoltà e il mio imbarazzo nel dover operare una scelta per approntare questo secondo capitolo della rubrica.
Perché?
Perchè (io la ributto lì, ma se usassimo perché come why e perchè come because?) gli animali mitologici del Triveneto sono davvero tanti e già il dover farne una selezione è un delitto. Se poi aggiungiamo il fatto che è necessario dar loro una priorità di pubblicazione, beh, vi renderete conto anche voi che il peso della responsabilità e a dir poco sovraumano. Cioè, perché i collie euganei dovrebbero essere meglio del sarto Antonio da Padova? Perché le treccine di Lavaredo sì e l'Heidi sfatta di Caporetto no?

E sono interrogativi che mi sono posto anch'io. Ma evidentemente i Cimbri no. Sono loro che mi hanno commissionato 'sta cosa, e loro non guardano mica in faccia nessuno.

Eccomi qui, quindi, a parlarvi del Vago di Garda.
Il vago è, a discapito del nome e a differenza degli altri appartenenti alla famiglia dei vagidi, un animale per nulla schivo, e anzi, proprio questa sua mancanza di paure istintive e a causa della sua proverbiale loquacità è oggi considerato un animale a rischio.

Dal manto cervone costellato a volte da macchie erubescenti, la caratteristica principale del vago è la sua costante ambiguità.
Sovente possiamo intravedere, soprattutto nelle ore del mattino più prossime all'alba, gruppi formati da 2 o 3 vaghi che fingono di tuffarsi nel Garda con la rincorsa, per poi fermarsi sul ciglio della battigia emettendo la classica risata comune a tutti i vagidi che, e questa è una delle curiosità per cui il vago del Garda è famoso in tutto il mondo, è stata campionata e utilizzata in 7 delle 13 canzoni che compongono l'album Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, naturalmente dei Beatles.
Addirittura pare dato per certo dai più attenti studiosi del quartetto di Liverpool che nella famosa ghost track dell'album, la cosiddetta The Inner Groove, la frase ripetuta in loop non è "Never Could Be Any Other Way" come molti credono, ma "nel veneto di notte vaghi" (naturalmente pronunciata all'inglese), che richiamerebbe le abitudini prettamente notturne dell'animale, conosciuto probabilmente dai quattro durante i concerti italiani del 1965.

Altra caratteristica fondamentale del vago di Garda è la dissimulazione.
Pur essendo animali tendenzialmente monogami, il maschio intraprende sovente dei tentativi di accoppiarsi con le femmine disponibili e per dimostrare di non essere accasato si prodiga spesso in evidenti sviamenti: è solo una buona amica, condividiamo la tana per dividere le spese, è che faceva freddo ma se no non dormiamo insieme, sì quel nome mi dice qualcosa ma adesso non l'abbino al muso... insomma, resta appunto sul vago e proprio da lì deriva il comunissimo modo di dire.

Inutile dirlo, dato che già lo saprete tutti, il vago è salito agli onori delle cronache nel gennaio del 2004 a causa di quell'indimenticabile e vergognoso fraintendimento con l'allora capo di stato giapponese e il conseguente ritiro dal mercato della nota marca di cannucce pieghevoli che ahimé troppo spiccavano nel video pubblicato (queste sono le cifre che ho trovato in internet) su 150.000 siti e visto da più di un miliardo di persone.

Vabbé, non è il caso che vi saluti con queste immagini davanti agli occhi (anche perché credo che il mulinello di cannucce imbevute nell'olio d'oliva del minuto 2.08 abbia turbato i sogni di più di qualcuno).
Quindi vi lascio con una nota divertente sul vago di Garda: la popolazione in vita dei vaghi è sempre un numero primo. Cioé, a partire dai primi due ipotetici vaghi, il rapporto tra il tasso di mortalità e quello di natalità ha descritto l'andamento di una funzione il cui algoritmo definisce la curva asintotica dei numeri primi.
E infatti tutti i più grandi matematici del mondo si stanno interessando a questo fenomeno. E anche tutti gli scassinatori. Tra l'altro i vaghi partoriscono un unico cucciolo per covata e questo comporta che la morte di un vago inneschi contemporaneamente la morte di altrettanti vaghi fino ad arrivare al precedente numero primo.
Bene. Fa ridere no?

Ecco. Forse ci vediamo per la terza puntata.


9.10.13

Avvento

Che ogni volta penso se avrei qualcos'altro da dire.
Ma in realtà no.
Solo che ogni volta che mi capita di passare alzo la testa, lì nell'angolo lontano del parabrezza.
Magari mi fermo, respiro il vento che arriva di lassù.
Senza le macchine certi notti vuote si sente, non è nemmeno un sibilo, nessun fruscio, che piante non ne sono ricresciute molte in quella gola. È solo vento.
Come un'eco. Come l'eco fossile del big bang, senza l'effetto doppler del tempo. Perché cinquant'anni è ieri.

E niente, tutto quel che avevo da dire è qui.

8.10.13

Colpa della crasi



Allora, ho per le mani una foto figa.
Controversa al punto giusto e a suo modo emblematica.
C'ho addirittura la parola giusta da abbinarci, kalokagathia.

E c'ho che potrei parlarne. Giocare su un bell'e buono bello e buono, brutto e cattivo, bel tenebroso o su una crudele carineria.
Potrei, se fosse, potrei ma non ne sono in grado, non oggi.
Che magari mi basterebbe appuntarmelo lì sul telefono, tra 'Gesù era un rettiliano?' e 'giù di Gardaland', e tempo qualche giorno, lasciandola lì a fermentare, un'idea mi sarebbe anche venuta.
Probabilmente sarebbero c'entrati i gremlins, o qualche quadro di Dalì, o meglio ancora il cibo, che so, gli insetti come pietanze, o ecco, ecco, Gravity, ho visto Gravity ed era proprio così, come un eroe greco, meravigliosamente bello, indescrivibilmente buono. Eppure freddo, come lo spazio. Senza un'emozione sana, anzi, è colpa mia lo so è colpa mia, senza emozione proprio. Solo sense of wonder. Tanto. Bello. Ma solo.

Comunque non è un post su Gravity, questo. È solo una roba per dire che c'ho un'immagine figa con Audrey Hepburn, una parola greca figa con una crasi, un blog abbastanza fighissimo specializzato nel non specializzarsi, eppure niente. Non è abbastanza per farci un post. Non per me.
Fabio Volo ci farebbe un libro intero e io nemmeno un post.
C'è gente che c'avrebbe fatto un'intera pagina su facebook. E io...
Io niente.

Ps con superbo spregio della diamesia in questo post è stata eliso il pronome "ci" davanti a una vocale gutturale o peggio ancora a una consonante.
Sono cose che succedono. Ci sono dei motivi che non posso spiegarvi. Sappiate che 'sto fatto che hanno chiuso il sito della NASA è abbastanza in relazione con la cosa, e anche quell'esperimento che hanno fatto sostituendo con un algoritmo le parole "piede" e "pecora" nel vangelo. Non c'entrano le minacce, ma solo perché non le ho intese come tali.

Pps Cerco di ritornare il prima possibile. Ciao.










4.10.13

Rilutto nazionale


Ieri è stato un giorno di lutto. Lutto personale.
No, non è la solita retorica che tende a interiorizzare, a rendere intimo un evento pubblico così da accrescerne il valore simbolico.
Ho avuto un lutto davvero, una persona cara. Un parente. Una persona presente e importante della mia infanzia, giovinezza, accenno di maturità.

Quando ho avuto la notizia, sui giornali online stavano già snocciolando i primi numeri della tragedia di Lampedusa. Era ancora quella fase in cui le cifre si estraggono dal sacchetto della tombola con una sadica altalenante speranza, che quando li senti non capisci se all'innalzarsi del conto sia più l'augurio di sbagliarsi o l'aspettativa di un accadimento di proporzioni inusuali.

Quando muore un migrante, per me è un qualcosa di personale.

Comunque, me ne stavo lì a confrontarmi con questi dolori e ovviamente sono diversi, e la vita e il ricordo e il momento ti dettano le priorità.
È che il confronto te li fa forse capire meglio, o almeno, capire come certe tragedie, piccole o grandi che siano, vengano interiorizzate o meno in base alla loro rilevanza relativa.

Io so perché sto male quando viene a mancare una persona con cui sono relazionato, ed è proprio nella consapevolezza della fonte di un dolore vero che riesco quantomeno a intuire da dove possano derivare le ondate di dolore finto, quelle da bacheca, che scorrono in verticale sulle pagine dei social network.

La cosa rilevante è che il dolore proviene, essenzialmente e ovviamente, non tanto dall'accadimento in sé ma, o dal livello di conoscenza che si presuppone di avere con il protagonista dello stesso, o con quanto l'accadimento rappresenti l'emblema di una mia personale ideologia .
Tradotto: se muore uno che vedevo correre in moto ogni domenica in tv, ho la necessità di scrivere su facebook quanto sto male; se muore una ragazzina violentata dal solito animale, magari negro, magari clandestino, ho la necessità di scriverlo su facebook perché questo dimostra che faccio bene ad avercela con gli animali, magari negri, magari clandestini. Se muore non una, ma centinaia di persone attraversando il mare su una bagnarola inseguendo la speranza di una vita, beh, non c'è nemmeno il finto dolore da dover manifestare perché non le conoscevo, non ho i mezzi necessari per capire effettivamente cosa ci facessero ammassati in una barca, e il fatto che siano morte non mi serve a supportare nessuna delle mie idee. Il fatto che stessero venendo in Italia sì, ma questo è un altro discorso.

Io di migranti ne ho conosciuti.
Ho mangiato con loro quel che c'era, ho distrutto le scarpe nello stesso fango, condiviso le zecche, la polvere, le malattie e le medicine quando capitava, parlato guardandosi negli occhi, ho ascoltato le verità dei loro bambini. Li ho visti sparire. Andarsene nel silenzio rumoroso di una notte minacciosa, senza un saluto, un programma, una meta addirittura.
Perché, anche se siamo portati a pensare che la mente di chi affronta un viaggio del genere sia tutta protesa verso il dove andrà, spesso la concentrazione maggiore è indirizzata verso ciò da cui si scappa.
Migrare, migrare così è fuga più che aspettativa.
Ché andarsene non è solo un'alternativa, no, andarsene è la scelta tra vivere e morire. E quando sei morto non ce l'hai un'alternativa. Cioé, c'è qualcuno ancora convinto che ci sia gente disposta a correre il rischio di annegare in fondo a un mare enormemente piccolo solo per aver visto in tv la pubblicità della pasta Barilla defrocizzata e le repliche di Colpo Grosso?

No, se sei minacciato, affamato, perseguitato, condannato, no, non te ne frega un cazzo di dover sbarcare sulle coste di un paese che non ti vuole. Tanto sei solo di passaggio. Sei un vivo di passaggio. Meglio di un morto col posto fisso... E quindi ti va bene anche un paese che ti sperona, che ti respinge, che spesso non rispetta i tuoi diritti di uomo e figuriamoci se gli viene in mente di darti dei diritti da cittadino.
Un paese riluttante, che abbandonato abbandona.

E non ti riconosce quando sei vivo ma ti onora ipocritamente da morto.

[e basta. Potrei andare avanti, ancora e ancora. Ne ho di cose da dire. ma basta. Lasciatemi stare male.]



1.10.13

Barbarie


Ieri c'è stata l'ultima puntata di Breaking Bad.
L'ultima non nel senso che quella dopo deve ancora arrivare, ma proprio ultima che non ne faranno più. (l'italiano è una lingua cinica a volte, ti lascia accoccolare nel giaciglio morbido delle tue speranze solo per trafiggerti quando sei più indifeso!)

Settimana scorsa c'è stata anche l'ultima puntata di Dexter. Stesso ragionamento sul concetto di ultima.

Ultimo è un superlativo che deriva da ultra. Oltre.
E forse è anche un invito, il consiglio di lasciarsi tutto alle spalle, di sorpassare.

È che per andare oltre occorre prima capire, metabolizzare, accettare.
Cos'è quindi successo? Qual è il finale, quello vero? Cioè, cos'è che gli autori volevano comunicarci?

Breaking Bad

Dexter

Lost

E.R.
Happy Days
Ken il guerriero

Peppa Pig

La barba!
Nell'ultima stagione di una serie il protagonista deve farsi crescere la barba.
Anzi, probabilmente il fine ultimo degli sceneggiatori è proprio quello.
Oh, c'ho in mente una serie che sono tipo in un'agenzia pubblicitaria negli anni '60 e bevono whisky e limonano duro e lui è un figo che beve whisky e limona più duro di tutti e ha sempre l'idea giusta per la reclame. Sì beh figo, però poi come la fai finire? Bah, alla fine pensavo di fargli crescere la barba... Foorte!

Ecco, funziona così.

Che poi, e in molti si saranno preoccupati, ho erroneamente detto che Peppa Pig è alla sua ultima stagione. Non preoccupatevi, non è vero.
Peppa Pig, adesso che si sono concluse tutte le serie che guardavo, è ciò che mi salva alle nove di sera mentre mangio. Che devi per forza guardarla facendo qualcos'altro, altrimenti, se la mente si concentra troppo sullo schermo, ti induce in uno stato di trance da cui puoi uscire soltanto con le sberle, che se no rischi che ti sbocchi il cervello dal naso.

Comunque io per guardarlo ho un trucco: mi immagino che tutta la famiglia Pig sia composta da degli enormi cazzi che parlano. Una cosa così:





E allora sento proprio la mente che si rilassa. E mi dimentico che Breaking Bad è finito, e che Dexter è finito, e mi dimentico di farmi la barba...

[Comunque ieri sera Papà Pig ha perso le chiavi della macchina dentro a un tombino mentre era sul belvedere e si è formata tutta una fila di macchine di gente che però rideva e non era incazzata e non gridava i porchiddii oppure li diceva ma col sorriso. Per fortuna il signor Toro con la sua impresa edile ha iniziato a scavare e ha trasformato il belvedere in una grotta verticale (un cenote, per gli esperti) che a quelli del FAI gli è venuto un infarto, ma tipo una grotta che sprofondava fino alle pendici della montagna e nessuno si è chiesto se ci fosse l'amianto e se niente niente sarebbero morti tutti di tumore, perché nel mondo di Peppa Pig i No Tav sono banditi (anche nel mondo questo, ma è un altro discorso). Fatto sta chePapà Pig 'sto coglione, grazie all'incommensurabile danno ambientale, è riuscito a recuperare le chiavi della macchina ed è ripartito e tutti ridevano. Mentre l'avida signora Coniglio ha messo su un banchetto abusivo e ha iniziato a fare bagarinaggio sui biglietti per vedere la grotta. Giuro! E tutti ridevano. Che coglione!)