28.8.11

John Doe n. 11 - ovvero rilancio a effetto


[Pericolo - Spoiler sparsi!]

L'effetto finale di questo John Doe è che mi sono divertito.
Che per un'opera d'intrattenimento direi che è sicuramente un buon risultato.

A iniziare dall'effetto Droste della copertina, passando dall'effetto Holtzman che fa viaggiare il Golden Boy attraverso lo spazio che divide la finzione dalla finta realtà (e, per i più speranzosi, forse dalla realtà reale), inciampando sull'effetto farfalla causato da lievi particolari disseminati nelle storie fin dai primi numeri, perdendo il fiato in un effetto domino di situazioni (c'entrasse Fato, magari) che sempre più rapidamente hanno contribuito all'effetto Forer di un delirante dio, che di fronte alle pagine di un fumetto crede di aver trovato sé stesso.

Lancia un tiro a effetto quindi Roberto Recchioni. Dal monte di lancio osserva di soppiatto la posizione dei lettori e poi, dopo aver schernito il battitore, solleva il ginocchio a nascondere dove ha deciso di direzionare.
E spara.

Sì, perché invece della palla nascondeva una pistola dietro al guantone.
Una di quelle vecchie colt che sono addirittura belle da vedere. Lucidata per le grandi occasioni.
La pistola perfetta per un suicidio.

Povero, piccolo John. Dio smarrito e incazzato che accelera la confusione della propria morte sbagliando.
Sbaglia. Nella sua perfezione di divinità sbaglia continuamente.
Amici, nemici, nemesi: mai una scelta vincente per lui.

E di questo approfittano i tre sceneggiatori, trovandosi faccia a faccia col loro personaggio ne sfruttano tutte le debolezze, in primis la sciocca presunzione di sapere, di interpretare il reale con le regole dell'irrealtà, e soprattutto di confondere l'irrealtà col reale.

Perché la sospensione dell'incredulità travalica, si ripega su sé stessa in un'alternanza di chiaroscuri che tratteggiano una figura impossibile in cui l'occhio e la mente si perdono.

A ogni cambio di scena occorre riordinare le idee per verificare effettivamente in quale piano della finta realtà siamo atterrati..
Pur sapendo che è solo un gioco non si riesce a essere tranquilli fino in fondo.
Recchioni raccoglie la fiamma di quella sensazione di inquietudine appicciata da Bartoli nel precedente capitolo, e la usa per rischiarare a tratti le stanze in cui ci sta conducendo. Una luce traballante, misteriosa, mai chiarificatrice.
Potrebbe essere una prigione, una cantina in cui ci ucciderà, la suite di un albergo a 5 stelle: non lo percepiamo mai chiaramente.

Quel che intuiamo è che la colpa è nostra. O almeno questo è quello che crede John.
I tre bastardi lo hanno convinto che i responsabili siamo noi, lui era incazzato, molto. E ora lo è con noi.

Dobbiamo preoccuparci?
Probabilmente sì, o forse no ché è solo finzione. Perché è finzione, vero?

L'unica cosa che sappiamo è che il viaggio del nostro dio sarà ancora lungo.
Da oggi in poi ogni numero sarà il primo, ogni storia un inizio, un rilancio.
In affanno tra le carceri dei vari generi, arrabbiandosi ancor di più nel convulso labirinto della ripetitività, delle storie già viste, della tranquillità editoriale: quello che John non ha mai  vissuto, insomma.

E in quel patimento matureranno le sue convinzioni, le sue paranoie, il suo odio.
E magari arriverà qui.

Ma solo quando arriverà il momento sapremo effettivamente dove saremo in quell'istante.
Effetti.

Speriamo non sia un effetto cobra.

Ah, quattro disegnatori per questo numero. Quattro prestazioni davvero encomiabili. Citare un preferito in tale diversità è sicuramente un inutile spreco di paragoni.
Ma Rossi Edrighi mi ha simpaticamente intrattenuto.

Chi la fa da padrone comunque è il detective Smullo,
il vero totem a cui si affidano le nostre certezze, la nostra mente spiazzata dal meta-fumetto. La nostra trottola in questo delirante Inception è proprio lui.
E alla fine ci rendiamo conto di dove siamo, contiamo i passaggi attraverso i differenti strati della finzione, disegni, idee, parole, sceneggiature, e ci rassicuriamo di essere nella realtà che conosciamo.

[ho volutamente evitato fino alla fine il termine meta-fumetto, me lo sto tenendo per Dylan Dog 300 se mai riuscirò a scriverci sopra qualcosa che non parli degli splendidi colori...]

3 commenti:

  1. Veramente sono io che ringrazio te.

    Onore al merito! finalmente...

    Ciao

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  2. Non ho fatto niente di particolare io... troppo gentile: ancora grazie!!! :-)

    CIAO!!!

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È l'ultima cosa che potrete dire in questo posto. Pensateci bene prima di scrivere le solite cazzate...