10.6.13

Tempismi


"Pensi mai di non farcela?"
"Io penso solo di non farcela..."

Mi guarda come se stesse osservando un punto dietro di me, come se già risultassi inutile ai suoi pensieri dopo quel solo, calcato tra due parole come un berretto di feltro, schiacciato dal peso della propria dirompente mestizia. Come quelle strutture mal progettate che implodono in sé stesse il giorno dell'inaugurazione.

E male progettato lo era, quel risoluto rifiuto all'osservazione speranzosa del mondo. Era come una pistola senza sicura, privata dell'ipotesi confortante di un'alternativa. No, crogiolarsi nel reale era un'esigenza dichiaratamente imprescindibile, nessuno slancio fiducioso nei confronti della vita, solo il meticoloso mestiere del vivere ciò che è.

Fu così che lei mi perse, stracciando in un mulinello di vento il contratto delle nostre ipotesi, e nessuno dei due l'avrebbe firmato, lo sa anche adesso. Ma questo, disse, questo disse non è che svilente sopravvivere.
Mi ritrassi, ricordo bene, quasi a non voler sembrare troppo saccente, quello che sa la risposta anche stavolta. Non seppe mai quel che si smorzò nella mia gola.

Ma non c'era nulla sopra quel vivere, davvero, finiva con una linea d'orizzonte stanca, permeabile a qualunque incursione dell'effettivo. Non c'era il sogno ma neppure il calcolo. Era solo quel che era, avrebbe potuto essere anche bello. Lo pensavo spesso nelle pause del dormiveglia.

Perché questo è un sottovivere, annaspa come quegli annegati che s'infrangono contro una lastra di ghiaccio, e da lì sotto pareva così tanto il cielo che c'abbandonano l'ultimo sorso di fiato per fracassarcisi contro. Sottovivere.

"Pensi mai di non farcela?"
"Io ce l'ho già non fatta..."

Sorridiamo.

(in realtà volevo solo rendermi conto di come funzionava un discorso costruito con presente-imperfetto-passato remoto-imperfetto-presente... bah.)

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