11.6.12

L'affine (post che avrei dovuto scrivere il 18.10.1994)



Quand'è finita non ce ne siamo neppure accorti, tu troppo presa con i tuo decadimenti, e io distante dai tuoi alterni sogni.
E tu a incollare al buio i cocci delle eccessive cadute, e io in attesa di una tua illusione rivelatrice.
Tu a cercare e io a mostrarti che non hai trovato.


Quando mi accorgerò che in tutto questo io non c'entro? Che perdermi tra i tuoi pensieri non è un ruolo, che esserci è la condizione naturale ed esula da ciò che queste notti afose avvolgono alle fantasticherie dei miei quaderni?


Tu che sei, che fai, che di troppa vita muori, che nuoti contro. E non importa quanto buona o utile possa essere la corrente.
Io che aspetto, che osservo, che confondo la volontà col caso, l'accaduto con l'atteso. E spiego ali di parole soffocate, ad arrendersi pavido al vento di un rifiuto che mi abbandona sempre ai margini.


Tu e io, mai noi.
Perché quando mi chiederanno cos'è finito non saprò cosa rispondere.
Perché  un amore senza estremi è un Narciso che annega nel riflesso di sé stesso, e un passo zoppo muove muscoli differenti, meccanismi distinti, forse addirittura altre parti del cuore. O del cervello.

Tutto quel che finisce merita un inizio, ma tutto ciò a cui ho saputo dar inizio è soltanto il mellifluo tormentarmi di questa fine. 
E uno specchio è pur sempre un inganno, e ciò che ci pare identico è inevitabilmente il nostro inverso, e la sinistra è destra e ogni pensiero è il suo opposto.


Tu che volevi vivere come se ogni giorno fosse l'ultimo, io come se fosse il primo.
Entrambi a illudersi di saperne gestire le conseguenze.

Quand'è finita non me ne sono nemmeno accorto. 
Solo adesso questa nebbia ha  tessuto la tela da sporcare con le note del mio faticoso requiem.

Postuma  litania di tutti i miei non.















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