Solo le cose belle finiscono.
Cioè, in realtà no: però solo di quelle abbiamo davvero la
percezione della conclusione. L’assenza di quel che non ci piace non è una
mancata presenza ma più che altro un’impercettibile inesistenza.
Vabbé, a pensarci bene la conclusione di qualcosa di brutto
potrebbe anche interessarci un po’ di più, ma se basiamo il nostro giudizio sul
senso di vuoto che una mancanza può provocarci, beh, allora non c’è storia e
solo le cose belle finiscono.
Che poi ci sono cose che si sa che devono finire (non di quelle
fini imperscrutabili come la vita, i sogni, l’estathè), hanno la loro bella
data di scadenza stampata sopra, eppure non te ne accorgi, non ci badi, le vivi
in quell’illusione distratta di persempre, perché forse inconsciamente speri
che succeda qualcosa, un errore, una fatalità, un typo che prolunghi in modo
indefinito il loro pervadere la nostra esistenza.
Lo so, dette così sembrano anche argomentazioni serie, e lo
sono.
Lo sono anche se parlano di un giornaletto.
La realtà è che non mi ero accorto fosse l'ultimo numero. (c’era anche scritto, lo so, ma in Italia,
nel 2014, che qualcuno rispetti la parola, che una mini di 12 finisca davvero
col dodicesimo numero, non era da darsi così per scontato).
Mi ha colto alla sprovvista, come un colpo di kung fu, di quelli che proprio non ti aspetti e voli, sei lì sospeso in aria a ripensare a dove è stata la tua debolezza, rivedi tutto al rallentatore più e più volte, e intanto sei ancora lì che voli, non pensi ancora all'impatto no, prima devi capire a pieno cosa ti ha messo in quella situazione.
Ecco, leggere l'ultimo numero di Long Wei è come essere nel pieno della parabola di quella caduta. Rivedi tutto quel che c'è stato, ripensi a ogni numero, ai particolari che ritornano, alle cose che si incastrano, a come quell'azione marginale, inattesa perché inutile in quel momento, sia adesso un tassello del puzzle, lo spostamento che ti ha messo in condizione di essere travolto da quel colpo.
E tu sei ancora lì che voli, e vorresti averli sottomano tutti e dodici, rileggerli serratamente uno in fila all'altro, per non perderti niente stavolta, per anticipare la tua debolezza.(e invece ce li ho a Padova, e quest'ultimo è solo soletto qua a Milano, non posso farlo, chi può lo faccia!)
Ed è così, sei talmente concentrato su ciò che è stato, sul rivivere istante per istante quei movimenti, quelle vignette, pagine, copertine, che ti dimentichi che stai volando, che quello è il colpo finale, che cadrai.
E all'improvviso non stai più cadendo. Che cadere era una cosa bella in quel momento, ché comunque anticipava un impatto che molto speranzosamente avrebbe potuto anche non avvenire. Ma le cose belle finiscono, e tu non stai più cadendo, sei arrivato, a terra, contro a un muro, sui bidoni dell'immondizia, sull'asfalto ruvido dopo un volo di trenta piani. La più improvvisa delle fini.
Ecco, Long Wei termina così, dopo dodici numeri come promesso, e cavolo, valeva la pena di leggerseli tutti.
Ora ci starebbe anche un giro di complimenti, a Diego che ha fatto di tutto e gli è venuto proprio bene, agli sceneggiatori, ai disegnatori che hanno portato una ventata di freschezza nel rigidume delle edicole, alla coppia Vanzella-Genovese che dove li trovi due bravi così, a LRNZ che io di copertine in vita mia ne ho viste tante ma di così meravigliose ben poche e al cinese, 'sto ragazzetto che in un anno giusto giusto ci ha fatto divertire, emozionare, ridere, stupire e anche un po' commuovere.
Finisce così, che si cade. Ma con fumetti come Long Wei si cade alla perfezione.
E allora facciamoglielo -e poi rifacciamoglielo- 'sto giro di meritati complimenti all'intero staff di Long Wei (oltre che alle due tigri degli Artigli dell'Eterno Castigo lassù), l'artista marziale cresciuto numero dopo numero fino ad arrivare a una "fine" del tutto degna di lui.
RispondiEliminaAvendo tutti gli albi sottomano me li rileggerò (come del resto faccio già con Orfani, che è ben lungi dall'essere finito)...