Secondo il mio fittissimo calendario degli impegni, oggi avrei dovuto scrivere la recensione della nuova avventura di Gatto Mondadory. Avrei.
Non lo farò.
Non lo farò perché esistono delle regole, esiste un codice etico, un patto di fratellanza che lega il lettore all'autore come se entrambi si fossero nutriti, in giovane età, allo stesso capezzolo di un'enorme Frisona iridescente fluttuante in un oceano/cielo di frammenti di biglie colorate (l'immagine ovviamente è di Chatwin, non mia).
Dunque, c'è un regolamento implicito più segreto di quello del figth club. La regola numero uno dice che il fine unico dell'artista è l'arte.
La regola numero due che il fine unico dell'artista è sempre l'arte.
La regola tre, invece, è una roba dei robot che devono fare i corsi di autodifesa ma senza far male alla gente.
C'è anche una quarta regola: non si scuote la tovaglia sulla terrazza dell'inquilino del piano di sotto. L'amministratore.
Non la farò la recensione, perché il Dr. Pira non ha rispettato le regole.
Sinceramente me l'aspettavo, non lo nego. So benissimo che un'aspra battaglia legale, come quella che J.K. Rowling l'ha costretto a intraprendere per i diritti del precedente capitolo di Gatto Mondadory, ti cambia.
E in genere ti cambia in peggio. Ti indurisce, ti incinicisce, ti porta ad abbandonare tutti i tuoi principi per focalizzarti senza se e senza ma sul risultato.
Ti costringe a diventare come il tuo nemico.
E poi c'è quella brutta storia degli elfi usati come parabole satellitari (che già questa sarebbe bastata...).
A seguito di tutto ciò, l'artista Dr. Pira si è tramutato nell'affarista Dr. Pira.
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Briatore, sei fuori! |
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Questi soldi erano i vostri. Ora saranno miei per sempre e non li farò girare, alla faccia dell'economia! |
Ma senza erba.
E gnomi.
E telefonini.
E il re.
Insomma, è un altro libro ed è un peccato non poterne parlare perché stavolta oltre al bizzarro utilizzo degli archetipi già presente nel primo tomo (e Vogler e Campbell e Propp e Cetera), è impregnato di una ficcante e trasversale critica sociale rivolta, in primis, alla figura del cugino.
E ai mercati. E ai finanzieri.
Insomma, a poterne parlare seriamente (ma non posso, dannato Pira), questo Gatto Mondadory nella valle dei cugini è senza dubbio un'opera più matura e a suo modo più complessa del capitolo precedente e, pur avvalendosi degli stessi meccanismi narrativi e dello stesso stile naif, si spoglia lungo il suo percorso dello spirito essenzialmente goliardico delle origini per abbracciare dei sottotesti meno immediati ma, probabilmente, più elaborati e densi.
È un libro che leggi la prima volta è pensi bah, è come l'altro ma meno divertente. Ma eri distratto, cercavi altro forse. Quindi lo riprendi in mano, lo rileggi, e scopri che è un'altra cosa.
E mica lo sai se sia voluto o no. Ma lo è.
Nel suo trastullato peregrinare, l'eroe tocca inavvertitamente i tasti più dolenti che attualmente assillano il mondo di oggi: tasse, alta finanza, investimenti, denaro, finanzieri, crisi.
Un libro che nel suo essere proiettato verso l'antico risulta spietatamente moderno.
Sarebbe davvero, ma davvero bello poterne parlare.
Peccato.